Internet più veloce al Sud. E il Nord è in ritardo
“La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a guardare il tuo smartphone”
“Lo dico a mio figlio: sei un drogato. Ha quasi otto anni e dopo scuola se ne sta sul divano per ore con l’iPad….”
Riflettiamo con il Buongiorno di Mattia Feltri su dipendenze e smarthphone….
https://www.youtube.com/watch?v=JQSWGl2yuik
Dal ministero spiegano al sito www.agendadigitale.eu a che servirà l’investimento sulle competenze digitali per innovare la scuola e avvicinare gli studenti al mondo del lavoro. Non è solo una questione di competenze, ma di una nuova consapevolezza da generare. Ecco il link….
“…..Non è solo una questione di competenze, quindi, ma di consapevolezza: saper cercare e valutare l’informazione significa riconoscere attendibilità, completezza e qualità delle fonti informative, ma anche capire come è cambiata l’infosfera nel suo complesso, e leggere il ruolo dei diversi intermediari digitali nel gestire incredibili quantità di informazione…..”
Alcuni colleghi animatori digitali ci segnalano il nuovo sito http://animatori-digitali.it/ , sito ufficiale del nostro gruppo Facebook degli Animatori Digitali.
Diciamo la verità, non se ne può più. Non se ne può più di slogan anti-bullismo preceduti dall’hashtag#. Ormai li leggiamo ovunque e non ci colpiscono più. Sul bullismo si sono moltiplicate miriadi di campagne informative dai nomi più disparati: smontailbullo, maipiùbullismo, stop al bullismo, no al bullismo, un nodo blu contro il bullismo (potrebbe seguire elenco lunghissimo….comprendente anche “Un sms per dire no a droga e bullismo”…Mah!?!?). Numerosi personaggi pubblici hanno fatto da testimonial per queste campagne: Totti, Alex Zanardi, Ambra Angiolini, Alvaro Soler, Mika (ed anche in questo caso l’elenco potrebbe essere molto lungo).
Sia chiaro: i messaggi lanciati da queste campagne e da questi testimonial sono tutti positivi e costituiscono certamente un importante contributo alla diffusione di una necessaria sensibilità verso il tema. Ritengo però che ormai siamo all’indigestione: quando il messaggio è così ripetuto alla fine rischia di diventare inefficace. E’ diventato troppo scontato dire no al bullismo; se si entra in una classe e si chiede agli studenti di parlare del bullismo, essi sanno cos’è il bullismo e sanno dire per quale motivo il bullismo è un fenomeno negativo e socialmente rilevante. Ma nonostante tutto questo, gli episodi di bullismo continuano ad esistere, si trasferiscono in rete prendendo la forma più ostile e subdola del cyberbullismo e le campagne informative a tappeto nel tempo di un clic (o di un touch) si dissolvono e si ripiomba in un vortice di incertezza e di diffusa inefficacia.
Le campagne informative fatte in tv, a scuola, sui social stessi, servono ma non risolvono. La soluzione sta nel coraggio di educare, che non è coraggio di vietare anzi… è coraggio di educare alla capacità di compiere scelte consapevoli, feconde e utili per se stessi e per gli altri. All’inizio di un recente incontro che si è tenuto a scuola con i genitori ho fatto un invito molto preciso: “non preoccupatevi di chi non c’è oggi, magari di quel genitore che dovrebbe proprio partecipare a questi
incontri perché suo figlio ne combina una dopo l’altra, no, preoccupatevi dei vostri figli perché sicuramente sono coinvolti da questa problematica come vittime, o carnefici o spettatori. E e se pensate che vostro figlio non sia né vittima, né carnefice, né spettatore preoccupatevi ancora di più perché vi sta nascondendo qualcosa!”
Insomma siamo tutti interessati e appassionati a questo tema e la cosa più importante che possiamo fare è educare, parlare con i nostri figli ma soprattutto ascoltarli; e poi ci vuole coerenza: come si può mettere in guardia i nostri figli dai pericoli dei social e delle chat quando ne siamo noi i primi e spesso pessimi fruitori? Educare significa prevenire: un bambino che rispetta il proprio compagno di banco o di classe lo rispetterà anche in rete; un bambino educato a saper leggere ed interpretare le emozioni proprie e degli altri non lederà la dignità altrui perché sarà in grado di immaginare la sofferenza che potrebbe provocare attraverso diffamazioni o offese online.
Alcuni adulti sostengono che bisognerebbe fare più formazione e informazione agli studenti sui rischi dei comportamenti in rete: è vero, non c’è dubbio che l’informazione non è mai abbastanza. Ma è altrettanto vero che i ragazzi sanno già tutto, molto più di noi. E non solo sanno tutto sul funzionamento dei cellulari, dei social e delle chat; ma anche sui rischi che si corrono. Ne sono consapevoli. È un’esperienza che sto sperimentando nel nostro “parlamentino”: stiamo affrontando proprio questo tema, quello dell’uso (e dell’abuso) dei cellulari. Ebbene: gli studenti dimostrano consapevolezza dei rischi. Eppure non ne sono esenti, non si sentono al riparo. Sanno che l’uso del cellulare crea dipendenza ed assuefazione; che dietro l’anonimato si possono commettere anche dei reati, quindi con possibili risvolti penali; che è impossibile togliere una foto postata su un social anche se per poco tempo; che esistono limitazioni di età con riferimento all’accesso ai social network; che alcune app sono costruite proprio per fare in modo che i ragazzi vi impieghino molto tempo. Quindi i ragazzi conoscono molto bene la realtà tecnologica e le sue implicazioni. Ciò che manca loro è la capacità di porre dei limiti, di governare il tempo, di stabilire e gestire relazioni.
Ma tutte queste “competenze” si praticano in rete se prima si acquisiscono e si maturano nella vita reale. Non dobbiamo preoccuparci della rete, dei social, dei cellulari se prima non ci preoccupiamo di educare i giovani al rispetto di se stessi e degli altri, al senso del limite, all’affettività relazionale. I giovani che acquisiscono modelli comportamentali sani li trasferiscono in ogni ambito della loro vita, rete compresa; anche lì staranno al sicuro. I giovani che cresciamo con l’angoscia che il mondo è pericoloso e che pretendiamo di iper regolare a scapito di un’educazione emotiva che invece spesso trascuriamo, potrebbero fuggire in rete a cercare quelle risposte affettive che hanno invano cercato e non trovato nel mondo degli adulti, troppo impegnati a dare regole in modo spesso incoerente e a fare noiose prediche invece che ascoltare, partecipare, condividere. Forse i giovani hanno bisogno più di questo che di un corso sui rischi del cyberbullismo. #ascoltiamoli.
* Dirigente scolastico della Scuola Media Statale Sperimentale «G. Mazzini»,