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L'astronomia islamica

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Gli astronomi geometrici greci cercarono in mezzo millennio di predire le posizioni dei sette "pianeti": Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Al tempo della composizione dell' Almagesto di Tolomeo, nel II secolo d.C., la cultura Ateniese e la potenza di Roma stavano mostrando segni di declino e in Occidente queste discipline vennero progressivamente abbandonate. Sebbene qualche scritto babilonese e greco sia sopravvissuto fino al tardo Medioevo in lingua originale, lo studio attivo del mondo naturale sarebbe continuato nel contesto culturale di una religione non ancora nata, quella dell'Islam. 
Alla metà del quarto secolo d.C. sant'Efren fondò una scuola in Mesopotamia nella quale si studiava il Greco e in questo contesto furono tradotti in Siriano scritti di Aristotele e del medico Galeno. Nel quinto secolo la scuola fu chiusa, ma la sua opera continuò grazie ad alcuni docenti che tradussero altre opere di medicina e di altra natura. Proprio da questi medici cristiani alcuni membri della corte di Baghdad (capitale del mondo islamico) aprirono gli occhi sulla ricchezza culturale dell' antichità, composta però da manoscritti conservati in paesi lontani e scritti in lingua straniera. Diversi califfi spesero tempo e denaro per acquistare e tradurre testi scientifici greci.
L'arabo, lingua che aveva espresso fino a quel momento significati essenzialmente religiosi e letterari, si affermò anche come lingua scientifica internazionale. La sua diffusione fu rapida e ci ha lasciato testi successivamente tradotti in latino, originari non solo dal Medio Oriente ma anche dal Nord Africa e dalla Spagna. Benché le opere greche siano giunte fino a noi in questo modo tortuoso, fornirono un'importante continuità nella tradizione del pensiero astronomico.

L'astronomia e l'islamismo

Molto tempo prima che iniziassero le traduzioni, nella penisola araba esisteva già una ricca e fiorente tradizione di astronomia popolare legata alla concezione del cielo derivata dai trattati islamici. Questa astronomia popolare però da sola non riusciva a soddisfare le esigenze astronomiche delle locali comunità religiose. I problemi derivati dalle pratiche religiose erano essenzialmente tre.
Il primo consisteva nell'adattare il già esistente calendario lunare, basato su dodici mesi integrati da un mese extra che aveva la funzione di far corrispondere il calendario con le reali stagioni naturali. Maometto si era pronunciato però a sfavore riguardo all'aggiustamento del mese extra; perciò il calendario musulmano è ancora oggi più corto di undici giorni rispetto a quello solare. Come conseguenza di questo il Ramadan, mese sacro del digiuno, può comparire in qualsiasi stagione. Il mese cominciava al novilunio, inteso in senso pratico e non astronomico del termine, cioè quando si scorgeva la prima falce lunare nel cielo;ogni sera si tentava questa osservazione e se non riusciva a vederla, si ritentava l'operazione la sera dopo. Queste osservazioni però spesso venivano ostacolate dalle condizioni atmosferiche, oppure ad esempio dal fatto che in due città diverse non fosse contemporaneamente visibile la luna, col risultato che le festività cominciavano in giorni diversi. Per porre rimedio a questi problemi, gli astronomi stabilirono che tra il tramonto del sole e il sorgere della luna dovessero essere trascorsi almeno 48 minuti.
Il secondo problema riguardava i tempi delle preghiere che dovevano essere almeno cinque al giorno ripartite al tramonto, al calare della notte, all'alba, a mezzogiorno e di pomeriggio. Per gli ultimi tre momenti di preghiera veniva usata una formula indiana che si basava sulla lunghezza delle ombre. Il problema della conversione di queste regole in ore e minuti interessò gli astronomi islamici molto profondamente finché all'inizio del nono secolo un certo al-Khwarizmi formulò dei calcoli riferiti alla latitudine di Baghdad che determinavano l'ora delle preghiere in base all'altezza del sole.
Il terzo compito posto dall'Islam alla astronomia fu di stabilire per tutto il mondo islamico un sistema convenzionale di regole riguardanti la costruzione di edifici sacri ed il loro orientamento. Nei primi duecento anni dalla nascita dell'Islam, prevalentemente in Medio Oriente ed Europa Mediterranea, si era infatti diffusa l'abitudine di rivolgere i luoghi di culto verso il sud, in omaggio all'abitudine di Maometto di pregare rivolto a sud verso la Mecca, quando si trovava a Medina situata più a nord. In altri luoghi più ad oriente però si supponeva che l'orientamento sacro o qibla si dovesse basare sulla direzione che prendevano i pellegrini per raggiungere la Mecca, col risultato quindi che la qibla variava di città in città. Altre moschee ancora adottarono invece l'orientamento in direzione della Ka'Ba ovvero il sacrario in cui è racchiusa la famosa pietra nera. 
Gli astronomici islamici, tra questi tre diversi metodi di orientamento optarono per il secondo e dopo aver sviluppato formule trigonometriche per calcolare la qibla universalmente, riuscirono infine verso l'XI secolo a tracciare delle griglie cartografiche che permisero di leggere in maniera diretta e più comprensibile l'orientamento sacro e la distanza dalla Mecca.


L'emergere di osservatori nell'Islam 

Nella maggioranza del mondo islamico l'astrologia veniva interpretata in due maniere differenti: mentre infatti i sovrani, l'aristocrazia e la gente comune la consideravano una dottrina di grande utilità pratica, il clero e soprattutto i capi religiosi, attenendosi all'espressione del Corano "nessuno tranne Dio può conoscere il futuro" cercarono in tutti i modi a loro possibili di osteggiare questa nuova disciplina. Soprattutto nelle corti reali dell'epoca gli astrologi erano anche degli astronomi e avevano bisogno di luoghi adatti alle loro osservazioni e cioè appunto di osservatori veri e propri, a differenza di quelli che praticavano questa disciplina tra il popolo, essendo esclusivamente degli indovini che basavano le loro predizioni su semplici tabelle delle posizioni planetarie. 
Quando astronomia ed astrologia erano ancora pratiche giovani, gli strumenti per le osservazioni erano relativamente piccoli, portatili e di comodo utilizzo; con l'andare del tempo però si rese necessario lo sviluppo di strumenti più grandi e dotati di una maggiore precisione ed affidabilità.
I nascenti osservatori vennero finanziati da principi o ricchi mecenati che ospitavano i nuovi astronomi-astrologi nelle loro corti o palazzi. I maggiori centri di osservazione furono quelli del Cairo e di Istanbul, costruiti entrambi da califfi; essi subirono la stessa sorte, infatti vennero distrutti o fatti distruggere indirettamente dalle autorità religiose dell'epoca che, come si è detto, non vedevano di buon occhio questa pratica emergente che sapeva di eresia. Alla condanna da parte del clero però sopravvissero alcuni osservatori come ad esempio quello di Maragheh nell'Iran settentrionale, che comprendeva anche una ricca biblioteca, e quello costruito presso Samarcanda in Asia Centrale.

Astronomia planetaria araba

La prima raccolta di astronomia planetaria derivava da un'opera in Sanscrito portata a Baghdad intorno al 770 da ambasciatori indiani, caratterizzata dai calcoli tipici dell'astronomia islamica. L'opera è stata tradotta in Latino nel XII secolo, arrivando così all'Occidente in epoca medioevale. Questo testo fu rispettato e in piccole parti corretto da alcuni astronomi tra cui al-Battani, più noto con il nome di Albatenio, che scrisse un opera (De scientia stellarum) alla quale si ispirò Copernico per il suo famoso De revolutionibus.
Un'altra importante opera nella quale sono contenute moltissime osservazioni di eclissi, però sconosciuta nel mondo occidentale, fu scritta da Abd al-Rahman. Il titolo è Tavole hakimite e fun un'opera ancora usata nella città del Cairo nell '800.

Il calendario islamico

Il calendario usato nell'Arabia preislamica si basava sui cicli lunari, dividendo semplicemente l'anno in dodici mesi di ventotto giorni ciascuno. Si correggeva poi l'eccesso tra l'anno lunare e il ciclo delle stagioni inserendo un mese intercalare, la cui posizione nell'anno veniva decisa e dichiarata dalle autorità religiose.
Maometto, credendo che una gestione del genere costituisse una sopravvivenza pagana,
modificò sostanzialmente il funzionamento di questo tipo di calendario e stabilì che il calendario musulmano fosse prettamente lunare, fissando la durata di un anno in 354 giorni divisi in 
Lo divise, inoltre, in dodici mesi di ventinove o trenta giorni.
Bisognava ancora trovare l'anno zero, che venne fatto coincidere con l'emigrazione del profeta verso Medina (l'egira), il 16 luglio del 622 d.C.
Da questo ragionamento consegue che tra il calendario Gregoriano e quello Musulmano vi sono undici giorni di differenza: ciò significa che trentatre anni musulmani corrispondono a trentadue anni del nostro calendario.
È quindi chiaro che per avere una corrispondenza esatta bisogna ricorrere a lunghi calcoli. Per questo, attualmente, quasi tutti i paesi musulmani adottano contemporaneamente una doppia datazione. Il calendario Islamico è infatti utilizzato solo in ambito religioso.