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Le comete tra realtà e immaginazione |
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Amore per la conoscenza e superstizione
Commento
L’incipit del VII libro richiama immediatamente l’intento fondamentale dell’opera: analizzare quali
effetti debba produrre l’osservazione della natura nell’animo del saggio, che deve evitare
l’atteggiamento del popolo, vittima di ignoranza e superstizione. Seneca affronta subito il nodo
fondamentale dell’osservazione del cielo e in particolare delle comete: la gente comune leva con
angoscia lo sguardo verso l’alto quando si manifesta un fenomeno diverso dal solito, temendo che le
regole dell’universo siano sconvolte e il fatto nuovo sia foriero di sventure o catastrofi naturali.
Il filosofo romano non coglie la natura psicologica del legame che gli antichi ponevano tra la
regolarità dei fatti celesti e il caos di questo mondo e il bisogno della gente comune di essere
rassicurata sul suo destino. Egli si limita a condannare la superficialità di chi non sa riconoscere la
meraviglia della natura nella quale viviamo (o forse è meglio dire vivevamo) quotidianamente: le
anime più sensibili si stupiscono di fronte alla straordinaria bellezza di una notte stellata anche se
non accade nulla di straordinario. Il saggio dunque saprà cogliere in questo spettacolo il segno
dell’intervento divino e si innalzerà con la mente dalla miseria della condizione umana alla pace
della contemplazione. Dunque non terrori superstiziosi ma sapienza ed equilibrio interiore dovrà
ispirare lo spettacolo della natura a chi ne sa capire la grandezza. Questo atteggiamento, che il
Medioevo non negherà ma interpreterà in chiave cristiana, non viene negato dalla scienza, anzi, se
ne trovano testimonianze negli scritti di personaggi quali Galileo, Newton e Einstein. Forse il
motore della conoscenza scientifica è proprio questo stupore di fronte alla bellezza dell’universo e il
tentativo di capire quali leggi lo regolino e quali possano essere le sue origini.
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