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TORQUATO TASSO

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Nella "Gerusalemme Liberata" compare la selva di Saron, della quale invano cercano di servirsi i cristiani per ricostruire la torre con la quale assediano la città: il mago Ismeno ha stregato la foresta, popolandola di fantasmi che impediscono a chiunque di avvicinarsi.
La selva è dunque un luogo malvagio e tale rimarrà finché Rinaldo non ne scioglierà l'incantesimo; anche il giardino di Armida è un luogo di pericolo morale, forse ancora più grave  perchè si nasconde dietro alla bellezza di un luogo che sembra piacevole e accogliente. La natura nasconde dunque insidie se non è sottomessa all'uomo e al dominio della visione cristiana del mondo:se non ci difendiamo con la fede, ogni bosco potrà essere una selva stregata e ogni paradiso terrestre rivelerà prima o poi il suo serpente

Città e selva in opposizione nella Liberata

E. RAIMONDI, Poesia come retorica, Olschki 1980, passim.

Se osserviamo l’ottava (III, 56) in cui si descrive la collocazione di Gerusalemme, già notiamo come l’ordine spaziale rimandi ad un ordine morale (ed è un rimando ampiamente verificabile nel testo): "La città dentro ha lochi in cui si serba / l’acqua che piove, e laghi e fonti vivi; / ma fuor la terra intorno è nuda d’erba, / e di fontane sterile e di rivi. / Né si vede fiorir lieta e superba / d’alberi, e fare schermo ai raggi estivi, / se non se in quanto oltra sei miglia un bosco / sorge d’ombre nocenti orrido e fosco. ". La collocazione geografica indica tre sezioni, di cui una (la pianura sterile) media fra le due estreme: la città (Gerusalemme) e la selva (di Saron), fra cui l’opposizione è visualizzata non solo pittoricamente, ma anche simbolicamente (tra "fonti vivi" e "ombre nocenti", il liquido e l’arido, spazio umano della città e non umano della selva).

Gerusalemme rappresenta dunque il luogo del bene e del dovere assoluti, il punto di riferimento per l’azione dei cavalieri, l’approdo agognato all’unità; laddove invece la selva di Saron rappresenta lo spazio negativo, il luogo della seduzione e della dispersione, dell’evasione anarchica nel molteplice: rappresenta tutti gli ostacoli che la natura (anche la natura individuale, che si lascia traviare dall’eros e dal gusto dell’avventura) frappone al compimento dell’impresa.

Alla selva di Saron rimanda quindi non solo il giardino di Armida (dove si "perde" Rinaldo), ma anche il "placido soggiorno" di Erminia tra i pastori: giacché sono una falsa pace e una falsa innocenza quelle conseguite attraverso l’evasione e non invece attraverso il sacrificio e la lotta eroica contro la tentazione e lo smarrimento. Questa lotta è quella combattuta da Rinaldo (dopo una notte di purificazione sul monte Oliveto, vero e proprio "rovescio" del giardino di Armida) nella selva di Saron, contro magie maligne che non sono altro che la proiezione dei fantasmi della sua stessa coscienza: e dunque questo canto (il XIII) diviene il centro dello spazio narrativo.

NOTE

1) O anche per sottolineare l’intenzione satirica (così nella Satira I: "Or concludendo dico che, se ‘l sacro / cardinal comperato avermi stima…").

2) Scritta a "tavolino" (per dimostrare una tesi teorica), risulta fredda e impoetica. Sarebbe stato il poema della salus, invocato da Dante nel De vulgari eloquentia.

3) Diverso è quindi, rispetto al Furioso, il senso dell’essere cavalieri: in Ariosto l’avventura era intesa come libera espressione della realizzazione individuale, ed era fondata sui valori dell’onore e della virtù; in Tasso invece l’avventura è devianza (deviante è l’individualismo), il cavaliere deve compiere una missione religiosa (e collettiva), in nome della quale deve rinunciare alla libera autodeterminazione ed assoggettare la sua volontà a quella del capitano (che è poi la volontà di Dio).