www.gpeano.org
Index Sentieri                  Links a siti su vita e opere di Dante
Percorsi su autori e testi
Inferni di ieri
e di oggi
Gli animali
Le foreste
Dalla sopravvivenza al peccato di gola
Index cibo

                               Ieri

Oggi

Romani Medioevo Rinascimento Galateo Disturbi alimentari Vegetariani Cinema Cibo e religione

 

 

 

Ipertesto a cura di Francesca Galfrè, Simona Franco e Grazia Vitagliano(3^ G)
e di Cinzia Curetti e Maria Ferrero (2^ F) a.s. 2004 / 2005

www.capurromrc.it/ dore/19cerbero.html

Nel sesto canto della Divina Commedia Dante incontra i golosi,  sommersi nel fango e percossi da una pioggia gelida e violenta, formata da grandine grossa,acqua torbida e neve. Cerbero, belva crudele con tre teste, abbaia incessantemente contro i dannati mentre cammina su di essi.  Il mostro ha gli occhi rossi di sangue, la barba unta e nera, il ventre largo e le zampe armate di artigli con i quali graffia e squarta gli spiriti.

Da quello che il poeta scrive nel suo testo si può chiaramente capire che il peccato di cui si sono macchiati i golosi, cioè quello di aver esagerato nel mangiare, agli occhi dell'uomo medievale era molto grave, anche se mangiare a sazietà era per molti un desiderio inappagabile, in un mondo dominato dalla miseria e dalla carestia.

Il rapporto con il cibo per l’uomo è da sempre essenziale, sin dall’antichità l’attività primaria era la cattura o la ricerca del cibo, passando poi ai grandiosi banchetti che tenevano i romani sdraiati sui triclini, ai pasti a base di selvaggina accompagnati dalla musica e dalla poesia dei menestrelli medievali, al cibo come fonte di pregiudizi nei confronti della donna che veniva accusata di stregoneria, fino ad arrivare ai disturbi alimentari e alla sempre più grande disparità nella distribuzione di cibo sulla Terra dei nostri giorni.

Cerbero, fiera crudele e diversa,
      con tre gole caninamente latra
 15 sovra la gente che quivi è sommersa.
        Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
      e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
        Urlar li fa la pioggia come cani;
      de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
 21 volgonsi spesso i miseri profani.
        Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
      le bocche aperse e mostrocci le sanne;
 24 non avea membro che tenesse fermo.
        E 'l duca mio distese le sue spanne,
      prese la terra, e con piene le pugna
 27 la gittò dentro a le bramose canne.
        Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
      e si racqueta poi che 'l pasto morde,
 30 ché solo a divorarlo intende e pugna,
        cotai si fecer quelle facce lorde
      de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
 33 l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.