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DANTE E LA "SELVA OSCURA"

Dante Alighieri incomincia la Divina Commedia descrivendo la selva oscura,  dove si è smarrito all'età di trentacinque anni. Si trova a combattere nella dannazione proprio nel momento in cui ha perso la ragione (preludio della morte dell'anima) e ha tralasciato la fede, "immerso" nel peccato. Questa foresta viene descritta "selvaggia e aspra e forte", passaggio difficile da superare proprio per la sua caratteristica naturale (rami e rovi incrociati tra loro). In questi versi l'immagine della selva oscura si sviluppa con caratteristiche realistiche e spirituali al tempo stesso, per descrivere la drammaticità della sua vita in quel momento e sottolineare il difficile passaggio dal mondo naturale al mondo soprannaturale e divino.

La selva oscura, oltre a rappresentare l'oggetto fisico, richiama dei concetti di natura morale, coerentemente con un modo di interpretare gli scritti e le immagini allora molto comune, che lo stesso Dante riprende nel Convivio dove parla dei quattro modi di intendere le scritture. In questo caso l'anima e l'intelletto di Dante e sono caduti nell'oscurità mentale e nella tentazione del peccato dopo aver commesso degli errori a aver smarrito "la diritta via".  La selva è vista da Dante come un luogo intricato e labirintico, pieno di tormenti e angosce che fanno provare sentimenti molto negativi, tra cui la paura della morte.

Solo dopo un lungo percorso Dante riesce ad uscire dalla selva e giunge ai piedi di un alto colle illuminato dalla presenza divina. Questo paesaggio è completamente diverso dalle caratteristiche della selva oscura proprio per sottolinearne la diversità, tuttavia lo egli non riuscirà a raggiungere da solo la cima illuminata. Lo smarrimento nella selva oscura diviene  l’inizio di un processo di purificazione e  quindi della  ricerca del bene, qui  infatti  Dante incontrerà Virgilio, simbolo della ragione umana, che lo guiderà alla salvezza secondo il progetto divino.

Secondo questo progetto, l'uomo che si smarrisce nel peccato può uscirne solo considerando con l'aiuto della ragione le sue tristi conseguenze, cioè passando in rassegna colpe e punizioni, per rifiutare una condotta di vita che chiude la strada della salvezza. In un mondo in cui il papa e l'imperatore hanno smarrito la loro funzione originaria rispettivamente di guida spirituale, politica e sociale, solo la ragione può "venirci incontro" come una fioca immagine nel buio. La selva dantesca rappresenta il labirinto in cui la ragione mette alla prova se stessa nel tentativo di sopraffare il male; essa infatti, definita «oscura», selvaggia», aspra», «forte», «amara>> simboleggia il peccato in cui è caduta  l'umanità intera, non solo il singolo.
La ragione da sola tuttavia non basta, anche la teologia e la fede sono indispensabili per condurre l'anima in Paradiso: sarà Beatrice ad incarnarle in sè e a fare da guida a Dante attraverso i nove cieli fino alla visione di Dio.
Nella selva ogni creatura ha un significato, così le tre belve che gli si fanno incontro rappresentano tre grandi categorie di peccati che sono in grado di far  "ruinare in basso loco"  l'umanità, di respingerla "là dove il sole tace". 

Il cammino di Dante nella selva, apparentemente casuale e senza meta, per intervento di Virgilio assumerà una direzione precisa: prima verso il basso, per constatare le conseguenze nefaste del  male,  poi verso l'alto, verso una straordinaria anticipazione della felicità del Paradiso.