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Per descrivere la rabbia nella letteratura, abbiamo scelto due parti dei poemi omerici: il primo canto dell’Iliade, che parla della rabbia d’Achille verso Agamennone e gli ultimi canti dell’Odissea, che individuano la rabbia d’Ulisse verso i Proci. La rabbia è descritta poi molto realisticamente da Dante, che narra la terribile storia del conte Ugolino e descrive la condizione degli iracondi destinati a lottare tra di loro nella palude Stigia. Nel brano dell’Iliade, Agamennone si scontra verbalmente con Achille, poiché pretende di ottenere la sua schiava preferita come risarcimento per la perdita della sua schiava più bella, restituita al padre Crise per volere di Apollo. Achille ritiene gravemente offensiva questa pretesa e decide di ritirarsi dalla guerra, con grave danno per i Greci. Questa decisione provocherà anche indirettamente la morte di Patroclo, grande amico di Achille. Nell’Odissea, invece, si racconta di come Ulisse, dopo essere ritornato in patria e dopo aver vinto la gara con il tiro con l’arco per decidere chi doveva sposare Penelope, gettati i panni del vecchio mendicante, trucida tutti i Proci e le ancelle traditrici. Abbiamo scelto questi due brani poiché, Omero descrive perfettamente l’ira dei due personaggi che, essendo diversi psicologicamente, esprimono la loro rabbia in modi diversi; Achille, guerriero eroico e desideroso di onore, ma egoista e geloso di ciò che possiede, s’infuria smodatamente contro Agamennone perché deve rinunciare ad una sua schiava, pur avendo molti altri tesori, anche di maggior valore. La sua ira è immediata, evidente a tutti e lo scontro fra i due personaggi avviene subito a viso aperto. Ulisse, invece, prototipo del guerriero astuto quanto potente, usa la sua micidiale rabbia in modo molto diverso: si nasconde travestendosi da mendicante e rimanda il momento della vendetta su coloro che, negli anni in cui lui combatteva nella guerra di Troia, tentavano senza sosta di insidiare Penelope. Aspetta il momento opportuno e mette in atto il suo piano con decisione e senza pietà: la sua ira è repressa in un primo tempo e si sfoga al momento giusto. Il conte Ugolino è forse il personaggio più tragico della Divina Commedia: il suo odio per l'arcivescovo Ruggieri è un sentimento cupo e immutabile, che trova un'immagine molto efficace nel mordere, nel rosicchiare continuamente il capo del nemico, come fa un cane affamato con l'osso. La rabbia, per quanto sia un sentimento umano, non deve però eccedere i limiti del giusto e non deve dare luogo a comportamenti violenti; chi si è macchiato di questo peccato è condannato a ripeterlo all'infinito contro gli altri dannati nella palude Stigia. |
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