Pietre d’inciampo

Stolpersteine. Ovvero “pietre d’inciampo”, nel teutonico idioma dello scultore G. Demnig che le ha ideate e posate, oltre che in altre città d’Europa, anche a Roma. I greci avrebbero detto “pietra dello scandalo”, poiché per loro “scandalo”significava appunto “inciampo”; e nella vita c’è da imparare a scandalizzarsi per le cose che meritano, altrimenti lo scandalo scade dall’etica all’etichetta e via ad occuparsi degli inciampi tra le lenzuola di uomini e ominicchi: non che sia tutto ‘sto edificante vedere vecchietti assoldati dallo stato per governarlo, che per non sentirsi soli nelle loro stanze lustre e piene di quadri stipendiano donne nate un quadrato di lustro (moltiplicato x 2) dopo di loro. Per carità, niente di illegale, solo tanta pubblica tristezza…

Ma lo scandalo interiore deve spendersi per quello che accade quando, tutti distratti dal timoniere, dalle sue feluche e fanfaluche, nella stiva milioni di persone siano svuotate di umanità: chi come vittima chi come carnefice. Com’è accaduto, come può sempre accadere.

Le stolpersteine sono pietre nate per far inciampare l’attenzione di chi percorre abitualmente le solite vie, ricordando che lì un tempo vivevano donne e uomini poi deportati e condotti al macello nazista, ricordandoci per che cosa valga davvero la pena di scandalizzarsi: di case di cose e di affetti abbandonati al furore di uomini stivali e cani parlanti un’altra lingua, nel volgere di un’alba; di delazioni e denunce anonime, di sguardi rassicurati, indifferenti, quando non cinici o sadici da dietro le persiane chiuse; di vite un tempo promesse ed ora stipate in un carro bestiame, in una camera di morte, in una fossa, infine nel vento…

Le stolpersteine vogliono sottrarre al vento questi nomi per incastonarli nella terra; trarre dalla fossa le ceneri affinché restino, per sempre, solide come il porfido; restituire ai cumuli di volti sepolti nel buio di carri bestiame e camere a gas la brillantezza della loro unicità.

Le stolpersteine scolpiscono in noi l’idea di quanto sia facile calpestare delle vite così come i cubetti di porfido della strada, senza quasi rendercene conto; quanto fu facile un tempo e quanto lo sia ancora oggi, se non per cattiveria legalizzata almeno per l’indifferenza. Perché troppo occupati a creare e smontare gli scandaletti di un belpaese, perché comodi a guardare da dietro le persiane, perché l’altro in fondo non sono io e poi che diamine, mica si deve sempre trovare un perché… ma lasciare che altri tra mezzo secolo si interroghino sui morti per fame, annegati negli stretti, disidratati nei deserti in fuga da conflitti e povertà, che altri ricordino e spieghino perché, ponendo nuovi segni di un tragico ricordo questo no, non è un modo autentico di fare memoria oggi. Non farebbe bene ai vivi, non lo tollererebbero i morti. Un’ulteriore, pesante pietra dello scandalo.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.