Parole e immagini

preghiere tibetane

Con grande pretesa

vi prese ed impresse

un timbro di piombo.

Arrese al vento

non avete che lui

che ora vi porti.

 

 

 Lyrics

 Ora tu ti chiedi chi sei, cosa farai, piangi intorno al tuo bonsai mentre intorno avanza il fuoco. Le certezze di una vita… via, come acqua tra le dita. Ma se senti che non sei solo anche se il cielo è scuro, cerca un raggio e prendi il volo sopra ‘sto mundo desperado… che in Helldorado sei quello che hai ma non ti basta mai        (Negrita, Radio Conga)

Le meraviglie in questa parte di universo sembrano nate per incorniciarti il volto e se per caso dentro il caos ti avessi perso avrei avvertito un forte senso di irrisolto (Jovanotti. Tutto l’amore che ho)

Al primo amore si fermò, scese dalla filovia e allora il mondo gli sembrò una drogheria: l’ultima volta che lo videro era col circo del “pensateci un po’ voi”, dove leoni, clowns e acrobati stavan fermi come lui. Va da sè che Laura non crede, non crede più, passa il sale, chiacchiera, siede e guarda giù.

Poi quel bimbo si voltò e contò le nostalgie, scese dal palco e disse “no! sono cose mie, solamente mie” e mentre tutti si aspettavano la giravolta, il salto doppio, la poesia, gridò a chi stava a capotavola: “stacci attento e fila via!”. Perché adesso Laura ci crede, ci crede, sì. Chiude gli occhi e dentro sorride, adesso sì. (R. Vecchioni, Canzone per Laura)

 

 

Il primato dell’ippopotamo

Ecco, l’ippopotamo, che io ho creato al pari di te, mangia l’erba come il bue.

Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nei muscoli del ventre.

Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s’intrecciano saldi,

le sue vertebre, tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro.

Esso è la prima delle opere di Dio: il suo creatore lo ha fornito di difesa.

I monti gli offrono i loro prodotti e là tutte le bestie dell campagna si trastullano.

Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto e della palude.

Lo ricoprono d’ombra i loti selvatici, lo circondano i salici del torrente.

Ecco, si gonfi pure il fiume, egli non trema, è calmo anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca…

(Giobbe, 40,15-23)

Il tempo, gli immortali e gli uomini

-Ascoltami Vesca. Tu non devi partire ora, piccolo immortale. Nè partirai più “dopo”, perché gli immortali sanno già chi sono, hanno chiuso il giro delle partenze. Tu partirai da uomo, perché altro non può fare un uomo se non perdersi o trovarsi, o illudersi dell’una e dell’altra cosa. Non c’è scampo e non c’è libertà più grande negli umani. E’ un rincorrersi senza fine, perché mai, mai la casa è l’ultima casa, il nemico è l’ultimo nemico, la vittoria è l’ultima vittoria.

– Ma… si sta male? – chiese Minbar.

– E’ la cosa più elettrizzante e più divina che io abbia mai provato. E l’ho provata mille volte. State a sentire. E’ l’azzardo di non sapere; il fiume, il monte che ti sbarra la strada; la ragazza che ti prende per mano; il deserto, l’oceano che attraversi per vedere cosa c’è dall’altra parte; il sogno che rubi dal tuo sonno, il sogno che modelli, plasmi, fingi, che raccogli in pezzi; è l’istante prima che ha tutti gli istanti dopo ancora intatti, e, appena è, già fu ombra e tu gridi per uscirne ed esser di nuovo alla luce, perché questo sono gli uomini, urlo e sole, e tutto il resto è niente.

(R. Vecchioni, Viaggi del tempo immobile)

 

Tre anzi quattro (proverbi).

“Ci sono tre cose che suscitano troppa meraviglia in me, anzi quattro: la traccia dell’aquila nell’aria, la traccia del serpente sulla roccia, la traccia della nave in mezzo al mare, la traccia di un uomo verso una giovane donna. Per tre cose la terra trema, anzi quattro, che non può sopportare: un servo che diventa re, un uomo da nulla quando ha pane a sazietà, una donna odiosa che trova marito e una serva che eredita dalla propria padrona. Ci sono quattro animali tra i più piccoli sulla terra, e tuttavia pieni di saggezza: le formiche, popolo senza forza, che si prepara il cibo durante l’estate; i conigli, popolo non potente, che fissano la loro dimora tra le rocce; le locuste, che non hanno un re ma procedono tutte divise per schiere; la lucertola, che puoi prendere con le mani, eppure vive nei palazzi dei re.” (Proverbi, 30, 18-19.21-28)

Le città invisibili di Calvino

“E’ delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. La città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra. -Io non ho desideri nè paure, – dichiarò il Kan – e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso. -Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma nè l’una nè l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settanta meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. -O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.” (I. Calvino, Le città invisibili).

F. Hundertwasser, pittore scultore architetto viennese

Fedele all’idea secondo cui l’arte è ponte tra la natura e l’uomo, svolge un percorso architettonico che intende incorporare nel progetto le caratteristiche del paesaggio naturale, forme irregolari, colori accostati con audacia, vegetazione che ricopre le forme del costruito. “ Da    quando    ci    sono    urbanisti     indottrinati    e    architetti standardizzati,  le  nostre case  sono malate.   Non  si   ammalano,sono  già  concepite   e  costruite   come   case   malate.  Tolleriamo migliaia   di   questi   edifici,   privi   di   sentimento   ed   emozioni, dittatoriali, spietati, aggressivi, sacrileghi, piatti, sterili, disadorni, freddi, non romantici, anonimi, il vuoto assoluto. Danno l’illusione della funzionalità. Sono talmente deprimenti che si ammalano sia gli abitanti sia i passanti. Basti pensare che, se 100 persone vivono in una casa, altre 10.000 vi passano davanti ogni giorno e queste ultime soffrono come gli inquilini, forse ancora   di   più,   per  il  senso  di   depressione  che emana dalla facciata di una casa sterile.[…] Non occorre radere tutto al suolo, basta apportare cambiamenti in punti strategici, senza grande dispendio di energie o di denaro. È necessario riportare i corsi dei fiumi, precedentemente livellati, ai dislivelli originari, spezzare la sterile e piatta skyline,trasformare i tetti   in   una superficie  discontinua  e ondulata, agevolare  la crescita della vegetazione spontanea nelle fessure dei muri e dei marciapiedi, dove non arreca disturbo, modificare le finestre e arrotondare in modo irregolare angoli e spigoli. Il medico  dell’architettura è competente anche  per operazioni chirurgiche    più    decisive,    come    la    rimozione di muri e l’installazione di torri e colonne. È  sufficiente  riconoscere  il  diritto  della  finestra,  ricoprire  di vegetazione il tetto, lasciar crescere l’edera, dare ospitalità agli alberi-inquilini.se si  lasciano danzare le finestre, dando loro forme diverse e introducendo quante più irregolarità possibili sulle facciate e negli  interni, la casa può guarire. La casa inizia a vivere. Ogni casa, per qunto brutta e malata, può guarire.” (F.Hundertwasser, Il medico dell’architettura, Vienna 1990).