La neve sporca

 

Dopo. Ammucchiata in un piazzale o aggrappata ai marciapiedi, sorprendente in un posto qualunque purché in ombra e resistente a quei primi caldi speranzosi e spietati come adolescenti. La indovini dai rivoli in cui si trasforma, sotto una coltre di quello sporco prosaico che siamo noi quando scarichiamo nell’aria e sulla terra quanto resta del consumo di strade, di case e di cose. Com’è triste, a prima vista, la neve sporca: è disincanto e sospetto che ogni magia sia falsa, come il trucco su di una pelle raggrinzita, come svegliarsi al mattino dei giorni brutti e difficili, come la domenica del leopardiano villaggio in cui il dì di festa è smascherato per quello che è: la fine delle attese. L’inganno.

Prima. Non più plumbeo di tempesta né così terso da far corona al capo del re sole, un cielo bianco cotone aveva dedicato una delicata punteggiatura di piccoli tocchi delle sue dita ad una terra che attendeva tenerezza e giustizia. E la neve soffice e tenace tutto aveva coperto e tutti, rivelando come in sogno il lato uguale delle cose che è il loro poter scomparire da un momento all’altro, senza che questo sia già accaduto del tutto. Erano rimaste le differenze, e anzi le volevi ancor più intensamente nel loro concerto di curve e profili in cui sprofondare carezzandole, in una sorta di dantesco indiarsi di tutte, quelle cose. L’incanto.

Il prima e il dopo. L’incanto e l’inganno. È questa la parabola, semplice e discendente, di tutto ciò che tende a un punto, del senso della storia e degli amanti? È la vittoria del verso di R.M. Rilke sulla potenza fragile dei baci appassionati?

Gli amanti, lo vedi, non sanno / che un bacio rovina l’incanto / che allora comincia l’inganno.

Se è l’istante prima a contenere già tutti gli istanti dopo; se per questo Giano Bifronte, che è l’istante stesso, il dopo è sempre inganno dell’incanto di prima, quale speranza può abitare il tempo e l’amore, il tempo dell’amore,  senza condannarlo a esser cieco? Quale soglia varcare senza capitare così negli inferi del disincanto?

Avvicinarci al cumulo di neve sporca che sembra non poterci più attrarre, carezzarne la crosta incatramata fino a scoprirne il candore di prima e con esso, ancora una volta, l’incanto; riscrivervi sopra con le dita perché l’istante dopo diventi il tempo di una nuova attesa, in cui gli amanti tornino a sognare il loro bacio, la storia il suo senso pieno, la terra la neve; sapere che l’inganno delle scorie grigie è da noi che nasce, non dal cielo né dal destino della neve stessa; aprirsi, come Qoelet, a vivere ogni istante per ciò che è, noi come siamo, abituando il cuore alla sofferenza e alla speranza nascoste insieme nelle attese che finiscono: perché lì, nell’istante dopo, è lo spazio dell’inganno come dell’incanto di nuovi baci, e nuova neve.

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