La prospettiva degli angeli

2 ottobre: è, insieme alla festa dei nonni (istituita a suo tempo da un presidente della repubblica-nonno), anche la festa degli angeli custodi. Per quanto riguarda i nonni oggi è sicuramente cambiata non solo, fortunatamente, l’aspettativa ma anche la prospettiva di vita: i vecchietti accanto al focolare nella casa che sa di stantio, con la coperta sulla sedia a dondolo e un po’ di giochi del tempo che fu capaci comunque, sempre, di accendere la fantasia dei nipotini, hanno ceduto il passo non solo ai giovani-dentro da crociera e da balera, ma anche ai post-anziani hi-tech capaci di reggere il passo dei nipoti 2.0 e con loro interagire tanto su di un pavimento reale quanto su di una piattaforma virtuale. Moderni angeli custodi dei nipotini e del trantran settimanale delle loro famiglie.

È forse tempo allora di operare un cambiamento di prospettiva anche sugli angeli. Ci aveva provato a suo tempo lo Stilnovo, cogliendo la potenza dello sguardo dell’innamorato nel trasformare la donna amata in angelo (che poi è lo sguardo dell’innamorato di tutti gli evi); più proiezione che prospettiva però, come ci avrebbe chiarito in seguito Freud o qualcuno da quelle parti. E poi, dice amaramente qualcuno, passa presto…

Ci aveva provato alla fine degli anni Ottanta il regista Wim Wenders gettando lo sguardo al cielo sopra Berlino e, di qui, a Berlino sotto il cielo; Damiel e Cassiel, angeli custodi della memoria del passato e del presente, osservavano con i soli toni del bianco e del nero (e dunque molto, molto grigio) le fatiche degli umani in piena guerra fredda fino ad intuirne i sentimenti: la fatica di vivere, l’impotenza di fronte al male o l’emozione di un volteggio sui trapezi. Fino a scegliere, come nel caso di Damiel, di cadere dalla propria condizione per farsi umano e così sperimentare il dolore e l’amore, la musica e soprattutto il colore.

Oltre quella dello sguardo angelicante e un po’ gelatinoso, oltre quella dell’angelo che si fa uomo per sperimentare la vita umana nelle sue emozionanti pieghe, esiste anche un’altra possibile prospettiva: quella dell’uomo che si fa custode dell’altro e diviene – inconsapevolmente – angelo. Angelo è ciascun essere umano quando incontra un senso ed uno scopo alla propria vita nel custodire: non tanto o non solo l’incolumità dell’altro, ma il bene che è in lui o in lei; perché ciascuno è un groviglio di cose buone e non buone, senza scomodare l’angelo (guarda un po’…) o la bestia pascaliane. L’uomo custode sa che dipende pure da sé il fatto che l’altro le esprima, quelle potenzialità buone o meno; che le persone sono fatte di sfumature, non etichettabili in prima battuta né riducibili alle proprie aspettative; che le sorti dell’altro, da qualsiasi parte del pianeta si trovi, sono legate al proprio modo di custodire o consumare il mondo; e che la stessa felicità di cui ciascuno ha sete necessita di un custode della sua acqua buona. Forse allora l’antica preghiera dell’angelo custode è riscrivibile invocando su di sé la capacità di offrire uno sguardo luminoso all’altro, di custodire il bene di cui l’altro è portatore, di sorreggerlo ed accompagnarlo nella precarietà, con la consapevolezza che in tutto ciò non vi sia niente di eroico o miracoloso ma che questo sia semplicemente, autenticamente, l’umano.

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Una risposta a La prospettiva degli angeli

  1. joker scrive:

    “La stessa felicità di cui ciascuno ha sete necessita di un custode della sua acqua buona.”
    Se si potesse essere custodi di un’intera sorgente e se si potesse sfruttare questo fattore, forse si formerebbero nuovi custodi, sempre più attenti a proteggere il tesoro condiviso. E sapete perchè? Condiviso perchè la felicità non si fa da sola: il fatto in sè che uno la porti ad un altro dice tutto. E come un custode la infonde ad uno, ecco che parte una catena infinita. Altro che internet e nuove generazioni, c’è chi vive di meglio! Questo si che è un vero tam tam…Vero. Quindi chi è felice lo è perchè ha ricevuto da qualcuno e sa di poter donare e il fatto di aver ricevuto e di aver donato ha cambiato qualcosa: ti ha reso speciale. Basta davvero poco, eppure, presi dalle ansie e dalla frenesia della vita che rincorriamo, non ce ne accorgiamo. Ma quando uno si rende conto che ‘prendere riempie le mani e dare riempie il cuore’ [cit.] ha capito tutto, o quasi.

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