E se per un giorno…

Semel in anno licet insanire, una (sola) volta all’anno è lecito dare di testa.

In tempi di magra era il giorno di grasso consentito prima della quaresima, perché non ce n’era e perché non era bene abituarvisi. Nel tempo dell’opulenza quasi ci schifa un martedì grasso e sogniamo piuttosto uno slim day.         In tempi di rigidi e gerarchici poteri era la festa dei folli, quando l’ultimo dei poveracci era fatto re ed il re diveniva uno tra i tanti; sempre solo per un giorno, perché pure qui non era bene abituarvisi. Nel tempo della fantademocrazia pseudorappresentativa, in una mano la matita non-copiativa del seggio e nell’altra il telecomando che spalanca un codice di televoto, vorremmo non ritrovarci gli stessi nomi e gli stessi volti di qua e di là, liste bloccate come i palinsesti, e dover sperare che siano i comici a salvare il mondo.       In tempi di pochi padroni del mondo era la sfilata dei carri allegorici tra due ali di un pubblico che ne dileggiasse i difetti (per un giorno non fa male, come sapeva Cesare celebrando i suoi trionfi). Nel tempo in cui i poteri forti diventano l’allegoria di se stessi, con vecchietti mascherati da intrattenitori di ragazzine,  ragazzine mascherate da compagne di serate (c’è la crisi), palazzinari e paparazzi sciacalli mascherati da pentiti giusto il tempo della custodia cautelare per non inquinare le prove e poi tutti ai domiciliari con il telelavoro che fa girare comunque gli affari; in questo tempo, vorremmo immaginare capitani d’industria, di finanza e di stato un po’ più giovani e soprattutto capaci del colpo d’ala nel tempo a breve scadenza del loro mandato e poi via a giocare con figli e nipotini (quelli veri). Una cosa normale, da non costringerci alle solite barzallette.

Che farcene allora di un martedì grasso? Resta la stessa speranza che anima la festa ebraica di Purim, che un giorno le sorti saranno rovesciate come per gli ebrei in esilio e in particolare per Mardocheo: vittima designata alla forca dall’astio del primo ministro Amman, la sorte fa sì che con questi scambi il posto ed il destino. Una sorte che assume il volto della nipote Ester, eroina biblica connotata da magnifica bellezza. Risparmiamoci oggi, 8 marzo, la prima parte del libro di Ester: selezionata con tanto di fase regionale e nazionale, giudicata per una notte nel talamo del sovrano (che aveva ripudiato la prima moglie per non essersi presentata a mostrare la sua grazia – proprio lei, Sua Grazia! – ad un festino di ministri avvinazzati), e soprattutto persuasiva con il re grazie al più classico dei finti svenimenti. Non proprio il manuale dell’emancipazione femminile.

Eppure, come per il folle-sapiente Schlomo nella scena finale del film Train de Vie che alla festa di Purim si ispira, anche solo un giorno con un po’ di immaginazione al potere e un po’ più potere di immaginazione può consentire la speranza e la lotta per migliorare le umane cose. Un giorno in cui l’aguzzino sia costretto dietro le sbarre sorvegliato dal prigioniero, un giorno in cui il cuoco che butta lì le cose mangi la minestra riscaldata dalla vecchietta senza denti, un giorno in cui l’amante sfregoloso/a assapori la routine della vita del partner e questi l’ebbrezza della tresca con il suo/la sua, un giorno in cui l’operaia dei turni sulle linee delocalizzi il general manager e temporalizzi i suoi affetti, un giorno in cui il celebrante continui lui, sì, a lavare i piedi – perché anche questo è celebrare il mistero – ma non solo quelli selezionati e puliti del giovedì santo. Se fosse anche solo per un giorno…

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