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Lingua e letteratura latina |
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L. Anneo (o Giulio) Floro - (sec. I-II d.C.)Pater certus est
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Vita e opere | Testo | Traduzione | Commento | I bambini a Roma | Lo stile |
Originario dell'Africa, si dedicò alle conferenze in molte località
delle province come gli oratori greci della "seconda sofistica". Uno dei temi da lui affrontato era la questione se "Virgilio era oratore o poeta", problema sul quale ci è stato conservato uno svolgimento redatto in forma di dialogo.
Durante l'impero di Adriano visse a Roma, dove scrisse i suoi due libri "sulle guerre romane"
( il I sulle guerre esterne, il II sulle guerre civili del I sec. a.C.),
opera di trattatistica militare che comprende 7 secoli di storia, dalla fondazione
ad Augusto.
Come tutti i retori, Floro ama descrivere ed elogiare con grande
abbondanza di termini più che raccontare in modo oggettivo. Per
impressionare l'uditorio, questo conferenziere, sempre in cerca di
similitudini efficaci, paragona la vita del popolo romano a quella di un essere umano
che cresce, matura e decade, salvo poi concludere, per adulare
l'imperatore, che la dinastia antonina aveva ringiovanito Roma. Quest'opera
priva di grandi ambizioni, anche per lla struttura molto semplice del suo
latino, ci è stata conservata sotto il titolo, davvero improprio, di "Epitoma de Tito Livio" ("Compendio di
Tito Livio").
Primus ille et urbis et imperii
conditor Romulus fuit, Marte genitus et Rhea Silvia.
Hoc
de se sacerdos gravida confessa
est, nec mox Fama dubitavit, cum Amulii regis imperio
abiectus in profluentem cum Remo fratre
non potuit exstingui, si quidem et Tiberinus amnem repressit, et
relictis catulis lupa secuta vagitum ubera admovit infantibus matremque se
gessit. Sic repertos apud arborem Faustulus regii gregis pastor
tulit in casam atque educavit.
Quel primo famoso fondatore sia della città, sia dell'impero, fu Romolo, generato da Marte e Rea Silvia. Questo confessò la sacerdotessa incinta, nè successivamente la Fama ne dubitò, dal momento che, sebbene fosse stato gettato nel fiume col fratello Remo per ordine del re Amulio, non morì, ma il dio del Tevere (Tiberino) fermò la corrente e, una lupa che aveva seguito il vagito dopo aver abbandonato i cuccioli, offrì le mammelle ai bambini e si comportò come una madre. Così, dopo averli trovati presso un albero, Faustolo, pastore del gregge reale, li portò nella sua capanna e li allevò.
Quel primo famoso fondatore sia della città, sia dell'impero fu Romolo, generato da Marte e Rea Silvia. Questo confessò di sè la sacerdotessa incinta, nè poi la Fama dubitò, perchè, sebbene fosse stato gettato nel fiume col fratello Remo per ordine del re Amulio, non potè essere ucciso, se davvero Tiberino fermò la corrente e, abbandonati i cuccioli una lupa, avendo seguito il vagito, offrì le mammelle ai bambini e si comportò come una madre. Così Faustolo, pastore del gregge reale, portò nella sua capanna ed allevò i (bambini) trovati presso un albero.
Floro non brilla per spirito critico. La sua intenzione,
dopotutto, è di natura retorica, vuole stupire i suoi lettori e non
lesina sui particolari mitologici e straordinari, come il fatto che il
nume tutelare del fiume avrebbe fermato la corrente. Questo particolare ha
un precedente in Tito Livio, il quale però sostiene che, avendo il fiume
esondato in quel periodo, si era formata un'ampia zona paludosa intorno
alle sue rive e i servi del re non erano riusciti a raggiungere il punto
in cui la corrente era forte ("profluentem") per gettarvi i due
sventurati bambini. Essi erano così stati abbandonati nel cestino in
cui si trovavano in una pozza d'acqua bassa, in modo tale che la lupa
potè raggiungerli ed allattarli. Si tratta di un'ipotesi realistica che,
per non cancellare del tutto il carattere di fatto straordinario, Tito
Livio attribuisce alla volontà degli dei con un semplice avverbio: "divinitus".
Questo rende la loro salvezza
molto più credibile anche senza un intervento soprannaturale; il nostro Floro
tuttavia tace il particolare e comunica questo messaggio: se non fossero
stati davvero figli di Marte, ma il prodotto di una qualunque relazione
illecita, come avrebbero potuto sopravvivere all'abbandono in un
fiume? Si vede in questo passaggio un chiaro intento
retorico, volto cioè a creare una storia capace di colpire la
fantasia del lettore, un abbellimento al testo, non un contributo alla
verità.
A conferma di questo, dal punto di vista stilistico,
notiamo l'uso ripetuto degli indicativi
nelle causali, segno che
Floro presenta la vicenda come oggettiva, credibile per dare più forza all'interpretazione della
storia come favola poetica che caratterizzava il pensiero di molti
retori.
Insomma, gli piaceva raccontare i fatti come se fossero andati così
non per ingannare i lettori ma per intrattenerli con un racconto
avvincente; in questo consiste la diversità che intercorre tra la nostra
concezione della storia e quella degli antichi. Lo stesso Tito
Livio riteneva che la storia fosse "opus oratorium maxime",
cioè un'opera prevalentemente retorica egli però, se amava abbellire il
testo reinterpretando le parole e i pensieri dei personaggi descritti, non
aveva ceduto come Floro alla tentazione di introdurvi acriticamente
l'elemento soprannaturale.
Dal punto di vista sociale, il brano la dice lunga sulla condizione
dei bambini nel mondo antico, in particolare a Roma, dove i figli
non desiderati, anche se legittimi, venivano abbandonati (esposti) nei
dintorni della città o nei vicoli a morire di inedia, ad essere sbranati
dai cani randagi. Questo destino toccava soprattutto alle femmine,
ritenute meno utili: gli esposti erano come un animali abbandonati:solo il
tempestivo intervento di qualche persona sensibile poteva davvero
salvarli. Talvolta la mano che li raccoglieva non era pietosa, ma era
quella di un mercante di schiavi che li allevava per rivenderli a poco
prezzo: ne è testimonianza il fatto che la letteratura latina, in
particolare le commedie di Plauto, presenta un gran numero di circostanze
in cui una schiava o più raramente uno schiavo sono riconosciuti
come figli di cittadini romani.
Questo argomento molto importante meriterà in un prossimo futuro una
trattazione a parte, dato che sfugge all'ambito del rapporto tra uomo e
cielo.