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Il culto 
di  Marte

Isidoro da Siviglia

Marte padre 
di Roma

  Tito Livio

Floro

Eutropio Donne a Roma

Dio della vita e della morte

Il dio infedele

Un popolo di conquistatori

   Deus auctor culpae

 Pater certus est...

  Vox populi...

Bambini a Roma

 

 

 

 

Dio dell'Olimpo e padre di Roma

 

Introduzione

 I Romani e il diritto

La leggenda delle origini 

 Gli autori e i testi

Nel corso dei secoli l'umanità ha sempre mostrato ammirazione nei confronti di quei personaggi, divini o umani, dotati di forza fisica e sufficientemente privi di scrupoli da utilizzarla per imporsi sugli altri. Al giorno d'oggi, fortunatamente,  questa ammirazione non sembra più così scontata o così legittima, anzi,  si va diffondendo l'idea che esiste il sacrosanto diritto di ciascun essere umano a vivere libero dalla minaccia della violenza.  E' vero però, a giudicare dal contenuto di certi programmi televisivi, fumetti, film o cartoni animanti, che questo tipo di personaggio, ispirato ad Achille, Rodomonte o Gradasso, non è certo passato di moda ed esercita ancora un oscuro fascino: la forza è oggetto di ammirazione, anche se usata male. Non stupisce dunque che moltissime civiltà antiche o primitive hanno onorato divinità caratterizzate da un comportamento aggressivo; noi speriamo che in futuro  le manifestazioni di forza fisica rimangano nell'ambito delle competizioni sportive, dove sono del tutto legittime e degne di ammirazione, soprattutto se ottenute senza fare ricorso al doping.

Gli antichi Romani non sfuggivano certo al fascino della violenza, soprattutto nella prima fase del loro lungo cammino storico ma, va detto a loro onore e per non sottolineare in modo eccessivo gli aspetti negativi della loro società, sono stati proprio loro ad elaborare compiutamente nel corso del tempo il  diritto del cittadino a difendersi dalla prevaricazione e dall'arbitrio dei privati e dello stato. E' ben vero che loro applicavano questi principi solo ai cittadini romani e non agli altri, considerati sudditi, comunque si è trattato di un grande passo avanti sulla strada della civiltà. Questo principio infatti  ispira ancora le costituzioni dei paesi democratici e la Carta dei diritti dell'uomo, che estende a tutti gli esseri umani senza distinzioni alcuni diritti fondamentali, tra i quali innanzitutto il diritto alla vita e il rispetto della loro dignità e libertà.

Come vedremo, nella Roma delle origini questo principio non si era ancora affermato e molte persone non avevano difesa contro le aggressioni, in particolare le donne e i bambini.
Nel caso in oggetto sarà coinvolto direttamente il dio Marte, che  la tradizione fa risalire al greco Ares, considerato tra gli dei dell'Olimpo  il nume tutelare della guerra e dell'esercito, sposo di Venere, dea dell'amore.  Presso i Romani però aveva caratteristiche più complesse, sicuramente più positive, come si può leggere nella sezione dedicata al culto di Marte.

Secondo la tradizione mitologico-religiosa di Roma, questo dio ha avuto poi un ruolo fondamentale nella fondazione della città, anche se si tratta di un episodio piuttosto scabroso che, oltre ad attestare la sua indole violenta e infedele, ha messo in imbarazzo gli storici i quali, con molta diplomazia,  hanno raccontato questi eventi cercando di renderli accettabili ai loro lettori. Per fare questo hanno esaltato le caratteristiche di Romolo come uomo straordinario, superiore agli altri perché segnato fin dalla nascita dal legame di sangue col dio della guerra che lo destinava ad essere progenitore di una stirpe di conquistatori. Le circostanze di questa nascita vengono raccontate senza insistere sui dettagli.

Narra la leggenda che Numitore, legittimo re di Albalonga, era stato detronizzato dal perfido fratello Amulio, il quale aveva obbligato la figlia di Numitore, Rea Silvia, a farsi Vestale, per impedirle di dare origine ad una discendenza che avrebbe potuto rivendicare il trono. E' noto infatti che le Vestali, sacerdotesse della dea del focolare Vesta, dovevano mantenere fede al voto di castità per una trentina di anni.  Il dio Marte riuscì a sedurre Rea Silvia, forse con la violenza; così  nacquero Romolo e Remo che, destinati da Amulio ad essere gettati nel Tevere, non affogarono e, dopo essere stati mantenuti in vita da una lupa, vennero trovati e messi in salvo dal pastore Faustolo. Sua moglie Larentia se ne occupò amorevolmente; sulla sua identità esistono però dei dubbi perché,  dice Livio, questo nome proprio non sarebbe altro che la parola con cui i pastori latini, nel loro primitivo linguaggio indicavano la lupa. 
I Romani amavano dunque presentare se stessi come discendenti di Marte in persona, quasi per giustificare la loro vocazione guerriera e l'opera di conquista che misero in atto ai danni di molti altri popoli, fino a creare un impero che andava dall'Atlantico al Mar Nero, dalla Manica all'Egitto e allo Yemen. E' bene inoltre ricordare che il progenitore dei re di Albalonga era, secondo la leggenda, Enea, eroe troiano figlio di Anchise e della dea Venere, amante ufficiale  di Marte. Dunque entrambe le divinità, tradizionalmente associate nella coppia oppositiva amore/morte,  avrebbero dato  i natali a Roma sebbene in modo .... adulterino.

A commento di questo complesso di credenze, oltre al racconto di Tito Livio e di due autori che si ispirarono a lui, Floro ed Eutropio,  abbiamo letto un testo altomedioevale di Isidoro, vescovo di Siviglia, il quale certo non credeva alla divinità di Marte e giudicava le leggende degli antichi dal punto di vista di un cristiano. Egli addirittura  associa il  nome di Marte a quello della morte e, significativamente, ne sottolinea il carattere adultero non solo in amore, ma anche in guerra, perché nei conflitti favoriva a turno l'uno o l'altro contendente e nessun soldato o generale poteva essere certo di avere per sempre la sua protezione. Nemmeno il prelato spagnolo, tuttavia, può sfuggire all'oscuro fascino di questa divinità, ed è costretto ad ammettere che sa affrontare il combattimento "nudo pectore......et sine formidine cordis..." 

Per quanto riguarda il racconto delle origini,  si può notare che Tito Livio ed Eutropio sembrano scettici sui contenuti della leggenda, rivelando una mentalità più critica, soprattutto Eutropio, vissuto in epoca cristiana.
Floro invece, molto più attratto dall'aspetto retorico-oratorio del racconto storico,  non solleva dubbi sulla veridicità dei fatti;  abbiamo così due autori (Floro ed Eutropio) che rielaborano entrambi il racconto di Tito Livio, rivelando tuttavia atteggiamenti diversi nei confronti della loro materia.

Precisiamo che i testi trattati sono molto brevi perchè il lavoro è stato effettuato da una classe prima, che necessariamente dispone di strumenti linguistici limitati.

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