Lagrange e il problema dei tre corpi

Si chiama Il Problema dei Tre Corpi, una delle sfide più difficili della matematica e della meccanica celeste. Tenta di risolverlo nel 1772 un genio italiano, Luigi Lagrange, che aveva fondato giovanissimo l’Accademia delle Scienze di Torino.

Come si muovono nello spazio due corpi che si attraggono, secondo la legge della gravitazione universale, ad esempio la Terra e il Sole? Newton lo spiega, però si ferma. Cosa succede invece se i corpi sono tre? “The Three Body Problem” ora ispira romanzi e serie di fantascienza ma Lagrange, due secoli e mezzo fa, per questo problema inventa una soluzione che anticipa anche l’era spaziale.

Immagina che il terzo corpo sia piccolissimo, fa i calcoli e scopre cinque punti dove il terzo corpo rimane in equilibrio. Sono i Punti Lagrangiani, oggi usati da tutte le agenzie spaziali del mondo perché offrono un parcheggio sicuro e stabile agli strumenti che osservano l’universo. Nel punto L1 ad esempio vengono collocate le sonde che studiano il Sole. Nel punto L2 vanno i telescopi, come il gigantesco James Webb, che stanno svelando il cosmo come mai prima. Quando Luigi Lagrange scoprì i “parcheggi spaziali” e risolse, in un caso, “Il Problema dei Tre Corpi” niente di tutto ciò era nemmeno immaginabile. Ma questo è il Genio.

Questo e altri video su: www.accademiadellescienze.it

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Come il (quasi) nulla potrebbe risolvere le più grandi domande della cosmologia

Misurando gli spazi più vuoti dell’universo, gli scienziati possono studiare come la materia si aggreghi e quanto velocemente si separi.

Di Lyndie Chiou (Quanta Magazine, 25 luglio 2023)

Nell’arazzo del cosmo, immense fibre fatte di galassie sono tessute attorno a vaste sacche di spazio per lo più vuoto, come si vede in questa simulazione al computer.

Come una città luminosa nel mezzo di un deserto arido, il nostro quartiere galattico è avvolto dal vuoto cosmico, un’enorme sacca di spazio quasi insondabilmente vuota. Recentemente, i rilevamenti del cielo hanno individuato altre migliaia di queste bolle vuote. Ora i ricercatori hanno trovato un modo per estrarre informazioni da questi vuoti cosmici: contando quanti ne esistono in un volume di spazio, gli scienziati hanno ideato un nuovo modo per cercare di rispondere a due delle domande più spinose della cosmologia.

“È la prima volta che usiamo il numero dei vuoti per estrarre informazioni cosmologiche”, ha dichiarato Alice Pisani, cosmologa dell’Università di Princeton e del Flatiron Institute e autrice di un nuovo preprint che descrive il lavoro. “Se vogliamo spingere i confini della scienza, dobbiamo andare oltre ciò che è già stato fatto”.

I ricercatori sono alla ricerca di nuovi strumenti anche perché hanno alcuni grandi misteri da risolvere. Il primo, e il più sconcertante, è la velocità di espansione dell’universo, un valore noto come costante di Hubble. Per oltre un decennio, gli scienziati hanno lottato per conciliare misurazioni contrastanti di questa velocità, tanto che alcuni hanno definito il problema la più grande crisi della cosmologia.

Inoltre, i ricercatori dispongono di misure contrastanti dell’aggregazione della materia cosmica – la densità media delle strutture su larga scala, della materia oscura, delle galassie, del gas e dei vuoti distribuiti nell’universo in funzione del tempo.

In genere, gli astronomi misurano questi valori in due modi complementari. Curiosamente, questi due metodi producono valori diversi sia per la costante di Hubble sia per la cosiddetta forza di aggrgazione della materia.

Nel loro nuovo approccio, Pisani e i suoi colleghi utilizzano i vuoti cosmici per stimare entrambi i valori. I loro primi risultati, che sembrano concordare molto di più con uno dei due metodi tradizionali che con l’altro, stanno ora contribuendo ad accrescere un disaccordo già molto forte.

“La tensione di Hubble è durata finora un decennio perché è un problema difficile”, ha detto Adam Riess, un astronomo della Johns Hopkins University che utilizza le supernove per stimare la costante di Hubble. “I problemi più ovvi sono stati controllati e i dati sono migliorati, quindi il dilemma si infittisce”.

Ora la speranza è che lo studio del quasi nulla possa portare a qualcosa di importante.

Costruire bolle

I vuoti sono regioni dello spazio meno dense dell’universo, in media. I loro confini sono definiti dagli immensi fogli e filamenti di galassie che si intrecciano nel cosmo. Alcuni vuoti si estendono per centinaia di milioni di anni luce e, insieme, queste bolle costituiscono almeno l’80% del volume dell’universo. Per molto tempo, però, nessuno ha prestato loro molta attenzione. “Ho iniziato la mia ricerca nel 2011 con circa 200 vuoti”, ha detto Pisani. “Ma ora ne abbiamo circa 6.000”.

Le bolle tendono a espandersi perché al loro interno non c’è molta materia che eserciti un’attrazione gravitazionale verso l’interno. La materia al di fuori di esse tende a rimanere lontana. Le galassie che nascono all’interno di un vuoto vengono trascinate verso l’esterno dall’attrazione gravitazionale delle strutture che definiscono il bordo del vuoto. Per questo motivo, in un vuoto “succede ben poco”, ha detto Pisani. “Non ci sono fusioni, né astrofisica complicata. Questo li rende molto facili da gestire”.

Ma la forma di ogni vuoto è diversa, il che può rendere difficile l’identificazione da parte degli scienziati. “Vogliamo assicurarci che i nostri vuoti siano robusti”, ha detto Pisani. “Quanto deve essere vuoto e come lo misuro?”.

È emerso che la definizione di “nulla” dipende dal tipo di informazione che gli astronomi vogliono estrarre. Pisani e colleghi hanno iniziato con uno strumento matematico chiamato diagramma di Voronoi, che identifica le forme che compongono un mosaico 3D. Questi diagrammi sono tipicamente usati per studiare cose come le bolle nelle schiume e le cellule nei tessuti biologici.

Nel lavoro attuale, Pisani e i suoi colleghi hanno adattato le loro tassellazioni di Voronoi per identificare circa 6.000 vuoti nei dati di un enorme progetto di mappatura galattica chiamato Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (BOSS).

“I vuoti sono complementari al catalogo delle galassie”, ha dichiarato Benjamin Wandelt, astrofisico dell’Università Sorbona di Parigi non coinvolto nello studio. “Sono un nuovo modo per sondare la struttura cosmica”.

Una volta ottenuta la mappa dei vuoti, Pisani e colleghi hanno cercato di capire cosa potesse rivelare sull’universo in espansione.

Qualcosa dal nulla

Ogni vuoto cosmico è una finestra su un grande conflitto cosmico. Da una parte c’è l’energia oscura, la misteriosa forza che fa espandere sempre più rapidamente il nostro universo. L’energia oscura è presente anche nello spazio vuoto, quindi domina la fisica del vuoto. Dall’altra parte del conflitto c’è la gravità, che tenta di riunire il vuoto. E poi l’aggregazione della materia aggiunge rughe ai vuoti.

Pisani e i suoi colleghi, tra cui Sofia Contarini dell’Università di Bologna, hanno modellato come l’espansione dell’universo avrebbe influenzato il numero di vuoti di diverse dimensioni. Nel loro modello, che ha mantenuto costanti una serie di altri parametri cosmologici, un tasso di espansione più lento ha prodotto una maggiore densità di vuoti più piccoli e più accartocciati. D’altra parte, se l’espansione fosse stata più rapida e la materia non si fosse ammassata così facilmente, si sarebbe dovuto trovare un maggior numero di vuoti grandi e lisci.

Il gruppo ha poi confrontato le previsioni del modello con le osservazioni della survey BOSS. In questo modo sono stati in grado di stimare sia la clumpiness che la costante di Hubble.

Hanno quindi confrontato le loro misurazioni con i due metodi tradizionali di misurazione di questi valori. Il primo metodo utilizza un tipo di esplosione cosmica chiamata supernova di tipo Ia. Il secondo si basa sul fondo cosmico a microonde (CMB), la radiazione lasciata dal Big Bang.

I dati del vuoto hanno rivelato una costante di Hubble che varia di meno dell’1% rispetto alla stima della CMB. I risultati relativi alla clumpiness erano più confusi, ma si allineavano anche più strettamente con la CMB che con le supernove di tipo Ia.

Perplessità: i vuoti dell’indagine BOSS sono più vicini nello spazio e nel tempo alle supernove di tipo Ia più recenti, il che rende un po’ sorprendente il fatto che le misurazioni dei vuoti si allineino più strettamente alla CMB primordiale. Wandelt, tuttavia, ha suggerito che i risultati potrebbero rivelare una nuova comprensione dell’universo.

“C’è un’intuizione profonda che mi fa rizzare i capelli”, ha detto. All’interno dei vuoti, le strutture non si sono mai formate ed evolute, quindi i vuoti “sono capsule del tempo dell’universo primordiale”.

In altre parole, se la fisica dell’universo primordiale era diversa da quella attuale, i vuoti potrebbero averla conservata.

Il futuro dell’assenza

Altri ritengono che sia troppo presto per trarre conclusioni dai nuovi risultati.

Anche con migliaia di vuoti, le barre di errore dello studio sono ancora troppo grandi per poter dire qualcosa di conclusivo. “Questa analisi è estremamente ben fatta”, ha dichiarato Ruth Durrer, fisico teorico dell’Università di Ginevra che non ha partecipato alla ricerca. Ma, ha osservato Durrer, i risultati non hanno ancora raggiunto la significatività statistica. “Se Alice vuole entrare nel club delle misurazioni incredibilmente buone della costante di Hubble, deve arrivare al limite dell’1%, il che rappresenta una sfida enorme”, ha detto Durrer.

Pisani ha detto di considerare il lavoro come una prova di concetto. Probabilmente ci vorrà un altro decennio – e l’aiuto di missioni future come il telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA e l’osservatorio SPHEREx – per accumulare abbastanza dati sul vuoto da essere alla pari con le misure della CMB e delle supernove di tipo Ia.

Durrer sottolinea anche che forse queste argomentazioni – i tentativi di conciliare le tensioni cosmiche – sono un gran parlare di nulla e che i disaccordi osservativi potrebbero indicare una realtà che gli scienziati non dovrebbero cercare di cancellare.

“I gruppi che si occupano di supernove e di CMB stanno effettuando misurazioni molto, molto diverse”, ha detto. “Quindi potrebbe esserci una nuova fisica che spiega perché non dovremmo vedere la stessa cosa”.

Articolo originale: https://www.quantamagazine.org/how-nearly-nothing-might-solve-cosmologys-biggest-questions-20230725/

IceCube ha rilevato un raro tipo di neutrino energetico prodotto da potenti oggetti astronomici

Grazie all’analisi di quasi dieci anni di dati sperimentali, i ricercatori e le ricercatrici dell’osservatorio in Antartide hanno rilevato per la prima volta neutrini di tipo tau, spesso mascherati da altri tipi di neutrini più comuni. La loro energia assai elevata suggerisce che devono provenire da sorgenti astrofisiche, come i buchi neri.

IceCube
IceCube poggia su tonnellate di ghiaccio che consentono agli scienziati di rilevare le interazioni dei neutrini (© Cmichel67/Wikimedia Commons, CC BY-SA)

Articolo originale: https://www.astronomy.com/science/icecube-researchers-detect-a-rare-type-of-particle-sent-from-powerful-astronomical-objects/

Una nuova visualizzazione dei buchi neri della NASA porta gli spettatori oltre l’orlo dell’abisso

Vi siete mai chiesti cosa succede quando cadete in un buco nero? Ora, grazie a una nuova visualizzazione immersiva prodotta da un supercomputer della NASA, gli spettatori possono spingersi oltre l’orizzonte degli eventi, il punto di non ritorno di un buco nero.

In questa visualizzazione di un volo verso un buco nero supermassiccio, le etichette evidenziano molte delle affascinanti caratteristiche prodotte dagli effetti della relatività generale lungo il percorso. Realizzata su un supercomputer della NASA, la simulazione segue una telecamera mentre si avvicina, orbita brevemente e poi attraversa l’orizzonte degli eventi – il punto di non ritorno – di un buco nero mostruoso come quello al centro della nostra galassia.

“La gente se lo chiede spesso e la simulazione di questi processi difficili da immaginare mi aiuta a collegare la matematica della relatività alle conseguenze effettive nell’universo reale”, ha dichiarato Jeremy Schnittman, astrofisico presso il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland, che ha creato le visualizzazioni. “Ho quindi simulato due scenari diversi: uno in cui una telecamera – una controfigura di un audace astronauta – manca di poco l’orizzonte degli eventi e si fionda fuori, e uno in cui attraversa il confine, segnando il suo destino”.

Le visualizzazioni sono disponibili in diverse forme. I video esplicativi fungono da guide turistiche, illuminando gli effetti bizzarri della teoria generale della relatività di Einstein. Le versioni renderizzate come video a 360 gradi permettono agli spettatori di guardarsi intorno durante il viaggio, mentre altre si presentano come mappe piatte di tutto il cielo.

Per creare le visualizzazioni, Schnittman ha collaborato con il collega Brian Powell, scienziato del Goddard, e ha utilizzato il supercomputer Discover del Centro di simulazione climatica della NASA. Il progetto ha generato circa 10 terabyte di dati, pari a circa la metà del contenuto testuale stimato della Biblioteca del Congresso. e ha richiesto circa 5 giorni di elaborazione con appena lo 0,3% dei 129 000 processori di Discover. La stessa impresa richiederebbe più di un decennio su un normale computer portatile.

La destinazione è un buco nero supermassiccio con una massa pari a 4,3 milioni di volte quella del nostro Sole, equivalente al mostro che si trova al centro della nostra galassia Via Lattea.

“Se si può scegliere, è meglio cadere in un buco nero supermassiccio”, ha spiegato Schnittman. “I buchi neri di massa stellare, che contengono fino a circa 30 masse solari, possiedono orizzonti degli eventi molto più piccoli e forze mareali più forti, che possono fare a pezzi gli oggetti in avvicinamento prima che raggiungano l’orizzonte”.

Questo accade perché l’attrazione gravitazionale sull’estremità di un oggetto più vicina al buco nero è molto più forte di quella sull’altra estremità. Gli oggetti in arrivo si allungano come spaghetti, un processo che gli astrofisici chiamano spaghettificazione.

L’orizzonte degli eventi del buco nero simulato si estende per circa 25 milioni di chilometri, ovvero circa il 17% della distanza Terra-Sole. Una nube piatta e vorticosa di gas caldo e incandescente, chiamata disco di accrescimento, lo circonda e funge da riferimento visivo durante la caduta. Lo stesso vale per le strutture luminose chiamate anelli di fotoni, che si formano più vicino al buco nero grazie alla luce che vi ha orbitato una o più volte. Lo sfondo del cielo stellato visto dalla Terra completa la scena.

Visualizzazione alternativa che segue una telecamera mentre si avvicina, cade, orbita brevemente e sfugge a un buco nero supermassiccio. Questa versione immersiva a 360 gradi permette agli spettatori di guardarsi intorno durante il volo.

Man mano che la telecamera si avvicina al buco nero, raggiungendo velocità sempre più vicine a quelle della luce stessa, il bagliore del disco di accrescimento e delle stelle di fondo si amplifica, proprio come il suono di un’auto in corsa aumenta di tono. La loro luce appare più brillante e più bianca quando si guarda nella direzione di marcia.

I filmati iniziano con la telecamera situata a circa 640 milioni di chilometri di distanza, mentre il buco nero riempie rapidamente la visuale. Lungo il percorso, il disco del buco nero, gli anelli di fotoni e il cielo notturno diventano sempre più distorti, fino a formare immagini multiple mentre la loro luce attraversa lo spazio-tempo sempre più deformato.

In tempo reale, la fotocamera impiega circa 3 ore per raggiungere l’orizzonte degli eventi, compiendo quasi due orbite complete di 30 minuti lungo il percorso. Ma per chi osserva da lontano, non arriva mai a destinazione. Man mano che lo spazio-tempo si distorce sempre più vicino all’orizzonte, l’immagine della fotocamera rallenta e poi sembra bloccarsi appena prima di esso. Per questo motivo gli astronomi si riferivano originariamente ai buchi neri come a “stelle congelate”.

All’orizzonte degli eventi, anche lo spazio-tempo stesso fluisce verso l’interno alla velocità della luce, il limite di velocità cosmico. Una volta al suo interno, sia la fotocamera che lo spazio-tempo in cui si muove si precipitano verso il centro del buco nero – un punto unidimensionale chiamato singolarità, dove le leggi della fisica come le conosciamo cessano di funzionare.

“Una volta che la fotocamera attraversa l’orizzonte, la sua distruzione per spaghettificazione è a soli 12,8 secondi di distanza”, ha detto Schnittman. Da lì, mancano solo 128 000 chilometri alla singolarità. L’ultima tappa del viaggio si conclude in un batter d’occhio.

Nello scenario alternativo, la telecamera orbita vicino all’orizzonte degli eventi ma non lo attraversa mai e fugge verso la salvezza. Se un’astronauta pilotasse una navicella spaziale in questo viaggio di andata e ritorno di 6 ore mentre i suoi colleghi su una nave madre rimangono lontani dal buco nero, tornerebbe 36 minuti più giovane dei suoi colleghi. Questo perché il tempo passa più lentamente in prossimità di una forte fonte gravitazionale e quando ci si muove vicino alla velocità della luce.

“La situazione può essere ancora più estrema”, ha osservato Schnittman. “Se il buco nero fosse in rapida rotazione, come quello mostrato nel film del 2014 ‘Interstellar’, tornerebbe molti anni più giovane dei suoi compagni di viaggio”.

Scarica video e immagini ad alta risoluzione dallo Scientific Visualization Studio della NASA.

Articolo originale: https://science.nasa.gov/supermassive-black-holes/new-nasa-black-hole-visualization-takes-viewers-beyond-the-brink/

Il riscaldamento globale sta rallentando la rotazione terrestre

La drastica fusione dei ghiacci polari sta rallentando la rotazione della Terra, mascherando l’accelerazione nella rotazione della parte esterna del nucleo. Il risultato è che potrebbe essere necessario dover sottrarre per la prima volta un secondo intercalare entro la fine del decennio.

Di Avery Schuyler Nunn (Scientific American, 27 marzo 2024)

Con l’aumento della temperatura globale che fonde le calotte polari della Terra, lo spostamento dell’acqua sta creando una ridistribuzione così grande della massa del nostro pianeta che la sua velocità di rotazione sta diminuendo. Questo insolito risultato del cambiamento climatico sta interagendo con altre forze che influenzano la velocità di rotazione del pianeta in modi che potrebbero alterare la misurazione del tempo. Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature, tra pochi anni potremmo dover eliminare per la prima volta un “secondo intercalare”.

“È un’altra di quelle cose che non sono mai successe prima e che stiamo vedendo con il riscaldamento globale: l’idea che questo effetto sia abbastanza grande da modificare la rotazione dell’intera Terra”, dice il co-autore dello studio Duncan Agnew, geofisico presso lo Scripps Institution of Oceanography.

La massa delle lastre di ghiaccio spesse chilometri che ricoprono la Groenlandia e l’Antartide esercita una forte attrazione gravitazionale sugli oceani. Quando le lastre di ghiaccio si sciolgono, tutta la massa si sposta dai poli all’equatore, diminuendo così la suddetta attrazione e causando anche un rallentamento della rotazione terrestre. Per capire perché questo accade, immaginate un pattinatore che sta girando sul ghiaccio con le braccia strette intorno alla testa. Abbassando gradualmente le braccia ed estendendo gli arti verso l’esterno, la rotazione rallenta.

“È così interessante quanto sia sfaccettato l’impatto dello scioglimento dei ghiacci”, afferma Kylie Kinne, oceanografa fisica specializzata negli effetti della calotta glaciale sulla circolazione dei fiordi e non coinvolta nel nuovo studio. “Continuiamo a scoprire nuovi modi in cui [lo scioglimento dei ghiacci] sta cambiando il clima e il pianeta, e questo studio lo mette davvero in evidenza”.

La scoperta ha implicazioni sorprendenti per la misurazione del tempo. La maggior parte del mondo utilizza il Tempo Universale Coordinato (UTC) per regolare gli orologi e l’ora. Poiché negli ultimi decenni le tecniche di misurazione sono diventate molto più precise, occasionalmente è stato aggiunto un secondo intercalare all’UTC per compensare il rallentamento della rotazione terrestre, legato a vari altri fattori. Ad esempio, l’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna crea un rigonfiamento di marea negli oceani che agisce rallentando la rotazione del pianeta.

Quando si aggiunge un secondo intercalare, l’ultimo minuto di un giorno designato si estende a 61 secondi, con il secondo aggiuntivo etichettato come 23:59:60. In questo modo si mantiene l’allineamento tra l’ora civile, basata sulla rotazione della Terra rispetto al sole e sull’ora standard utilizzata per la vita quotidiana, e l’ora atomica, molto più precisa.

Agnew ha scoperto che il rallentamento causato dallo scioglimento dei ghiacci polari ha effettivamente mascherato un’accelerazione della rotazione terrestre causata da cambiamenti nella rotazione del nostro nucleo esterno liquido. Negli ultimi 50 anni, il giorno si è accorciato di circa 0,0025 secondi. Se il riscaldamento globale non fosse mai avvenuto, probabilmente avremmo dovuto sottrarre un secondo intercalare prima. Ma con l’influenza del riscaldamento, Agnew stima che dovremo farlo intorno al 2028 o 2029, anche se ammette che la sua previsione è incerta. “Non c’è mai stato un secondo intercalare negativo prima d’ora, e i secondi intercalari stessi sono sempre stati un problema per chi gestisce le reti informatiche”, dice Agnew, dato che molti sistemi cruciali si basano su un preciso cronometraggio. “Dover includere un secondo intercalare negativo sarebbe un problema ancora più grave perché non è mai stato necessario”.

Ma Spahr Webb, fisico del Lamont-Doherty Earth Observatory, che non ha partecipato al nuovo studio, sostiene che i secondi intercalari non hanno molta importanza al di fuori delle telecomunicazioni. “Mi stupisce che si continuino ad applicare i secondi intercalari”, afferma. “La rotazione della Terra cambia continuamente”. Nel 2022 l’Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure (BIPM), l’organizzazione responsabile del cronometraggio globale, ha votato per l’abolizione dei secondi intercalari entro il 2035. Resta da vedere come questa nuova ricerca potrebbe influire su tale decisione.

“Nonostante le nostre percezioni umane, la Terra non è un perfetto guardiano del tempo”, afferma il geofisico Jerry X. Mitrovica dell’Università di Harvard, che ha esaminato il nuovo studio e ha scritto un commento su Nature. Secondo lui, questi risultati evidenziano il divario tra la nostra esperienza di vita e la tecnologia che ci circonda. “Come gestiamo questo divario?”, afferma. “Continuiamo ad affrontare questo divario aggiungendo o sottraendo secondi alla nostra definizione di giorno, oppure accettiamo questa differenza irregolare come normale e rinunciamo al fastidio di correggere continuamente?”.

Articolo originale: https://www.scientificamerican.com/article/global-warming-is-slowing-the-earths-rotation/

Alla ricerca del limite quantistico con il pendolo di Schrödinger

I fisici cercano la linea di demarcazione tra il mondo quantistico e quello classico

Di Tim Folger (Scientific American, 27 febbraio 2024)

C’è una frattura nella realtà, un confine invisibile che separa due regni completamente diversi. Da un lato c’è il nostro mondo quotidiano, dove le cose obbediscono a regole di buon senso: gli oggetti non occupano mai più di un posto alla volta ed esistono anche quando non li guardiamo. Dall’altra parte c’è il paesaggio onirico della meccanica quantistica, dove nulla è fisso, regna l’incertezza e un singolo atomo o molecola può trovarsi in più luoghi contemporaneamente, almeno finché nessuno li osserva.

Questo significa che la realtà ha un insieme di leggi per il macrocosmo e un altro per il microcosmo? Alla maggior parte dei fisici non piace istintivamente l’idea di un universo biforcato. A Sougato Bose, teorico dell’University College di Londra (UCL), non piace affatto. “Il mio punto di vista è che la meccanica quantistica non è mai stata osservata [su scala macroscopica] perché non siamo ancora riusciti a isolare le cose abbastanza bene”, dice, cioè i ricercatori non hanno trovato un modo per schermare i grandi oggetti dal loro ambiente, in modo che le loro proprietà quantistiche siano evidenti. Come la maggior parte dei fisici, Bose ritiene che la meccanica quantistica si applichi a tutte le cose grandi e piccole. Lui e tre colleghi, due nel Regno Unito e uno in India, sperano di mettere alla prova questa convinzione entro uno o due anni con un esperimento intrigante che mira a determinare se i grandi oggetti obbediscono o meno alle strane regole della teoria quantistica.

L’esperimento, descritto in un recente numero di Physical Review Letters, si rifà a un enigma che Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, ha posto in modo vivido quasi un secolo fa. Cosa succederebbe, si chiedeva Schrödinger, a un gatto intrappolato in una scatola chiusa con una fiala di veleno che ha il 50% di probabilità di rompersi e di uccidere il gatto? Secondo la meccanica quantistica, il gatto è allo stesso tempo vivo e morto, e si trova in entrambi gli stati fino a quando qualcuno non apre la scatola e guarda al suo interno. Questo perché, secondo la teoria quantistica, solo quando un osservatore effettua una misurazione del sistema – aprendo la scatola e controllando – le due possibilità devono collassare in una sola. L’esempio vuole illustrare come l’applicazione di queste regole quantistiche alle cose grandi – in pratica, a qualsiasi cosa visibile a occhio nudo – porti a delle assurdità.

Quindi, se la meccanica quantistica è vera – ed è una teoria di fenomenale successo per prevedere il comportamento delle particelle – perché non vediamo mai gatti sia vivi che morti? Le leggi della meccanica quantistica si infrangono a un certo livello? Alcuni fisici la considerano una possibilità. Ma la maggior parte sostiene che l’apparente assenza di effetti quantistici nella nostra esperienza del mondo deriva dal fatto che le innumerevoli interazioni degli atomi con l’ambiente circostante offuscano la vera natura delle cose. Di conseguenza, percepiamo una sorta di versione sminuita [orig. dumbed-down], non quantistica della realtà.

Se questo è il caso, un esperimento accuratamente progettato che isoli un oggetto da quasi tutto ciò che lo circonda dovrebbe consentire ai fisici di intravedere il comportamento quantistico effettivo di quell’oggetto, anche se relativamente grande. Questo è l’obiettivo dell’esperimento proposto da Bose, Debarshi Das, anch’egli dell’UCL, Hendrik Ulbricht dell’Università di Southampton in Inghilterra e Dipankar Home del Bose Institute in India. “Ci sono due possibili risultati”, dice Home. “Uno è che la meccanica quantistica sia valida [a tutte le scale], l’altro è che ci sia una regione in cui la meccanica quantistica non sia valida”.

La maggior parte dell’hardware necessario per l’esperimento è già pronta e si trova su un tavolo nel laboratorio di Ulbricht. (È l’unico sperimentatore del gruppo; Home, Das e Bose sono teorici). L’esperimento utilizzerà i laser per mantenere sospeso un singolo nanocristallo di silice – una microscopica perlina di vetro – mentre oscilla intorno al punto focale di un piccolo specchio parabolico ricavato da un blocco di alluminio alloggiato in una camera a vuoto. Sebbene la perlina abbia un diametro di soli 100 nanometri – più o meno le dimensioni di un virus – è comunque almeno 1000 volte più grande degli ammassi di molecole che finora hanno costituito il punto di riferimento sperimentale per la quantisticità [orig. quantumness].

Nonostante la sua complessità tecnica, l’esperimento imita un fenomeno molto semplice: il movimento di un pendolo. Un campo elettromagnetico spinge la perlina di silice avanti e indietro. Come un metronomo, la perlina oscilla regolarmente dal punto A al punto B e viceversa. Per quanto riguarda la fisica classica e non quantistica, questa dovrebbe essere la fine della storia. Ma un pendolo quantistico dovrebbe comportarsi in modo molto diverso. La sua posizione cambierà a seconda che qualcuno stia guardando o meno: potrebbe partire da A ma finire da qualche parte a sinistra o a destra di B. Questo è il cosiddetto pendolo di Schrödinger.

L’esperimento metterà alla prova la natura stessa della realtà: essa è completamente oggettiva o le nostre osservazioni hanno un ruolo nel creare ciò che vediamo? Per scoprirlo, l’esperimento sarà condotto in due modi leggermente diversi. In una versione, un laser sarà puntato su un punto in cui la fisica classica prevede che la perlina si trovi, ad esempio, nella posizione B. Se la perlina è effettivamente lì, rifletterà la luce del laser verso un rivelatore. Nel secondo caso, il laser verrà puntato due volte: prima in una posizione intermedia e poi una seconda volta un po’ più avanti nel percorso della perlina. Secondo la fisica classica, la misurazione intermedia non dovrebbe influenzare la posizione successiva della perlina, che dovrebbe sempre finire in B. Dopo tutto, nella vita quotidiana non possiamo cambiare il movimento di un metronomo semplicemente guardandolo.

Ma nel caso quantistico, la misurazione intermedia ha un effetto profondo. Come nel caso del gatto di Schrödinger, la perlina non esiste in nessuno stato definito finché non viene osservata. Prima di allora, non si può dire che la perlina si trovi da qualche parte; è solo una nuvola di possibilità e assume una posizione definita solo quando viene misurata. Il semplice atto di osservare la perlina in un momento cambia la posizione in cui si troverà in un momento successivo, quando il laser brillerà per la seconda volta. Se le regole della meccanica quantistica sono valide, a volte la perlina si troverà in B, ma a volte no.

“Quando si misura, si crea quella realtà”, dice Bose. “Nella meccanica quantistica la cosa non esiste in un luogo particolare prima [della misura]. Non esiste una verità prima della misurazione”.

Per ottenere risultati statisticamente significativi, Ulbricht dovrà lavorare rapidamente ed effettuare circa 100’000 misurazioni della perlina nell’arco di un’ora. (Più a lungo l’esperimento viene eseguito, maggiore è il rischio che lievi variazioni di temperatura o altri effetti minuscoli [orig. subtle] possano interferire con gli aspetti quantistici dell’apparato). Allo stesso tempo, dovrà calibrare la posizione dei suoi rivelatori in modo che contino solo i fotoni che interagiscono con la perlina e non quelli che potrebbero rimbalzare sul piccolo specchio parabolico nel blocco di alluminio.

In linea di principio, Bose, Ulbricht, Das e Home ritengono che il loro approccio sperimentale potrebbe essere scalato per lavorare con oggetti molto più grandi, forse anche con qualcosa di massiccio come qualche chilogrammo. Ma in questo caso la serie di potenziali effetti contaminanti, o “rumore”, diventerebbe molto più difficile da controllare. “Il rumore si riduce moltissimo [con le dimensioni]”, afferma Vlatko Vedral, fisico sperimentale dell’Università di Oxford, che studia anche la suddivisione classica-quantistica. “Il fattore di scala varia in modo esponenziale. Sarei sorpreso se si potesse fare? Non lo so, non è un esperimento banale”.

Se l’esperimento attuale si rivelerà in grado di violare le previsioni della fisica classica, porterà il mondo quantistico quasi palpabilmente vicino al nostro. “Crediamo che la meccanica quantistica sia una teoria universale”, afferma Das. “La teoria stessa non ha limiti. Ma in realtà, se questo sia vero o meno, non lo sappiamo ancora. Solo l’esperimento può risolvere questo dilemma”.

Articolo originale: https://www.scientificamerican.com/article/schroedingers-pendulum-experiment-will-search-for-the-quantum-limit/

Scoperto dopo quasi 300 anni un errore di traduzione della prima legge di Newton

Una nuova interpretazione degli scritti di Isaac Newton chiarisce cosa intendeva il padre della meccanica classica con la sua prima legge del moto

Di Stephanie Pappas (Scientific American, 5 settembre 2023)

Un sottile errore di traduzione della prima legge del moto di Isaac Newton, passato sotto silenzio per tre secoli, sta fornendo nuove informazioni su ciò che pensava il pionieristico filosofo naturale quando gettò le basi della meccanica classica.

La prima legge del moto viene spesso parafrasata come “gli oggetti in movimento tendono a rimanere in movimento e gli oggetti a riposo tendono a rimanere a riposo”. Ma la storia di questo assioma sull’inerzia, che sembra piuttosto ovvio, è complicata. Scrivendo in latino nel suo libro del XVII secolo Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, Newton disse: “Ogni corpo persiste nel suo stato di riposo o di movimento uniformemente rettilineo, tranne quando è costretto a cambiare il suo stato dalle forze impresse”.

Nel corso dei secoli, molti filosofi della scienza hanno interpretato questa frase come se si riferisse a corpi su cui non agiscono forze, spiega Daniel Hoek, filosofo del Virginia Tech. Per esempio, nel 1965 Brian Ellis, studioso di Newton, lo parafrasò dicendo: “Ogni corpo non soggetto all’azione di forze continua nel suo stato di riposo o di moto uniforme in linea retta”. Ma questo è un po’ sconcertante, dice Hoek, perché non esistono corpi nell’universo che siano liberi da forze esterne che agiscono su di loro. Perché fare una legge su qualcosa che non esiste?

In un recente articolo pubblicato sulla rivista Philosophy of Science, Hoek ha sostenuto che Newton non aveva intenzione di usare la prima legge per riferirsi a corpi immaginari, privi di forza. L’uso da parte di Newton dell’espressione latina “tranne nella misura in cui” (nisi quatenus) non intendeva specificare che la legge si riferiva solo a tali corpi, ma sottolineare che il moto cambia solo nella misura in cui una forza lo costringe. In altre parole, scrive Hoek, una parafrasi migliore si riferirebbe a tutti i corpi: “Ogni cambiamento nello stato di moto di un corpo è dovuto a forze impresse”.

Questa differenza potrebbe sembrare piuttosto accademica: dopo tutto, le teorie di Newton sono state superate dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein. Ma Einstein si è basato su Newton, sostiene Robert DiSalle, storico della filosofia della fisica presso la Western University dell’Ontario. E si sono usate interpretazioni errate della prima legge di Newton per sostenere che le teorie di Einstein e di Newton hanno disaccordi filosofici fondamentali, dice DiSalle. In particolare, ci si è lamentati del fatto che la prima legge di Newton è circolare. Dice che i corpi privi di forza si muovono in linea retta o rimangono fermi, ma come si fa a sapere che sono privi di forza? Beh, perché si muovono in linea retta o rimangono a riposo.

“Il documento rende più facile capire perché questo punto di vista è sbagliato”, afferma DiSalle. Non solo Newton non intendeva fare una legge sui corpi immaginari privi di forza, dice DiSalle, ma nemmeno i suoi contemporanei lo interpretarono in questo modo. “Penso che sia un’interpretazione che la gente ha pensato guardando al passato”, dice DiSalle.

Gli altri scritti di Newton chiariscono che la sua prima legge si riferiva a tutti i corpi, non solo a quelli teorici privi di forza, afferma George Smith, filosofo della Tufts University ed esperto degli scritti di Newton. “L’intero scopo della prima legge è quello di dedurre l’esistenza della forza”, afferma Smith. All’epoca in cui Newton scriveva, dice, non era affatto scontato che gli oggetti necessitassero di una forza per muoversi; c’era ogni sorta di vecchia teoria sul fatto che gli oggetti avessero una propria forza animatrice. Aristotele, ad esempio, pensava che i corpi celesti fossero costituiti da una forma teorica di materia chiamata etere e si muovessero naturalmente in cerchio. Smith afferma che Newton rifiutava tutte queste vecchie idee e sottolineava che non esiste un oggetto su cui non agiscono forze.

La confusione su ciò che Newton intendeva dire è probabilmente dovuta a una traduzione dal latino all’inglese fatta da Andrew Motte nel 1729, dopo la morte di Newton, che usava la parola “a meno che” invece di “tranne nella misura in cui”. Si trattava di una differenza sottile che tuttavia faceva sembrare che Newton parlasse di corpi privi di forze invece di spiegare perché tutti i corpi reagiscono alle forze, spiega Hoek. Dopo questo fatto, le persone “probabilmente, per la maggior parte, non sono risalite alla traduzione originale”, dice Hoek.

La nuova spiegazione è più completa, afferma Ramón Barthelemy, ricercatore di educazione fisica presso l’Università dello Utah. Le parole che gli scienziati usano per trasmettere le loro idee possono avere un grande impatto sulla comprensione, soprattutto per gli studenti. “Penso che sia molto divertente che le persone siano ancora là fuori a parlare di questo”, dice Barthelemy. “Dimostra che c’è ancora discussione…. Ogni volta che possiamo offrire agli studenti maggiori opportunità di impegnarsi e di vedere un’interpretazione diversa, è un modo entusiasmante per coinvolgere le persone nella fisica”.

Articolo originale: https://www.scientificamerican.com/article/mistranslation-of-newtons-first-law-discovered-after-nearly-300-years

Espansione libera e entropia

Script realizzato con la calcolatrice NumWorks che simula l’espansione libera di un gas perfetto e costruisce in tempo reale la distribuzione delle molecole fra il lato sinistro e il lato destro del contenitore.
All’inizio le molecole sono tutte confinate nella metà sinistra mediante un setto divisorio posto a metà del contenitore. Dopo alcuni secondi il setto divisorio viene rimosso e le molecole possono muoversi liberamente in tutto il contenitore. Contemporaneamente nella parte bassa dello schermo vengono conteggiate le frequenze dei microstati attraverso i quali passa il sistema durante la sua evoluzione. A tal proposito viene utilizzata come variabile atta a caratterizzare i vari microstati la percentuale di molecole presente nella metà sinistra della scatola. Dopo breve tempo si osserva che il sistema evolve verso gli stati a massima probabilità (massima entropia) in cui il 50% delle molecole è nella metà sinistra e l’altro 50% nella metà destra del contenitore.
Numero di molecole consigliato: 1, 2, 10, 50, 100, 200, …, 600.
Velocità massima consigliata: 1, 2, 5, …, 10.
Con poche molecole è preferibile usare valori piccoli delle velocità, perché l’eccessiva velocità della simulazione rende difficile la visualizzazione del moto delle molecole.

entropia.py

https://my.numworks.com/python/gianfranco-oddenino/entropia
(funziona sia sulla calcolatrice NumWorks sia sul PC con il simulatore on-line)

entropia_auto.py

https://my.numworks.com/python/gianfranco-oddenino/entropia_auto
(non richiede valori in ingresso; funziona con il simulatore on-line su tutti i dispositivi anche mobili)

Anacronistico ritorno del Regno Unito all’utilizzo delle unità di misura imperiali

TG1 delle 13:30 del 30 maggio 2022

Once, libbre e galloni: il Regno Unito torna al passato. In occasione del giubileo di platino della regina il governo Johnson lancia un piano per reintrodurre il sistema di misurazione imperiale. In diretta il corrispondente da Londra, Marco Varvello.

Esattamente. Dunque, pollici, piedi per le lunghezze, once, libbre per i pesi, pinte, galloni per i liquidi e così via. E qui sui bicchieri della birra al pub tornerà la tradizionale coroncina reale. Insomma, i giovani inglesi faranno bene a ripassare le misure imperiali care alle generazioni precedenti, perché questo tornerà appunto ad essere il sistema ufficiale in questo paese. Lo ha preannunciato lo stesso premier Boris Johnson. Una legge, insomma, cancellerà il sistema decimale, che era stato qui introdotto di recente negli anni soltanto di Tony Blair, per adeguarsi appunto alle norme europee. Si torna al sistema tradizionale in vigore dal 1824, caro alla memoria delle generazioni più anziane, che di fatto non era mai scomparso davvero dai negozi e dai mercati. Occasione, appunto, il giubileo della regina: i settant’anni di trono di Elisabetta, che è un momento di riscoperta dello spirito e della identità nazionale. Si comincia giovedì con la grande parata militare davanti a Buckingham Palace. Linea a Roma.

Per approfondire

An investigation indicated that the failure resulted from a navigational error due to commands from Earth being sent in English units (in this case, pound-seconds) without being converted into the metric standard (Newton-seconds).