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Dante e la cometa di Halley

http://astrocultura.uai.it/astroarte/astroletteratura/cognizioni/pascoli.htm#cometa

In questo testo di Giovanni Pascoli, intitolato semplicemente "La cometa di Halley" e reperibile all'indirizzo sopra indicato, la comparsa della cometa di Halley viene rappresentata in una sorta di visione apocalittica incentrata sulla figura di Dante in esilio che osserva l'astro portatore di sventura,  con occhi ben diversi da quelli di Giotto, che ha dipinto la cometa in una posizione privilegiata nella sua "Adorazione dei Magi". Giovanni Pascoli osservò la cometa di Halley e ripensò al passaggio dell'anno 1301, quando l'astro fu osservato da Dante, che accenna alla cometa in alcuni suoi versi (http://astrocultura.uai.it/astroarte/astroletteratura/cognizioni/dante.htm#lecomete). In quell'anno si svolse la famosa ambasciata presso Bonifacio VIII, dopo la quale il poeta non sarebbe più rientrato nella sua città, dunque per lui la cometa fu davvero un segno di sventura. Il testo di Pascoli è stato ispirato da queste considerazioni.

Il poeta si rivolge direttamente all'astro, che fa innalzare il livello del mare e sconvolge i pianeti, evocando le sibille su Urano e dando luogo ad una misteriosa processione di profeti lungo i canali di Marte. Qui Pascoli rivela tutta la sua attenzione per i fatti astronomici, in particolare per l'osservazione dei canali di Marte ad opera dell'astronomo Schiapparelli, secondo il quale erano stati scavati da creature intelligenti. L'oscurità, i terremoti, le profezie, il pianto e la pioggia di sangue rosso evocati dal poeta sono immagini apocalittiche e alludono alla cometa come portatrice di sventura, addirittura della fine del mondo.
La seconda strofa rievoca la figura di Dante, uomo solo che vaga senza meta e senza speranza su una "terra nera"; ricordiamo che nel X agosto il nostro pianeta è stato definito "atomo opaco del male".  Di fronte a lui, la cometa uscita dagli abissi, fiammeggia sferzando  il cielo con la coda ed è come un serpente che passa tra i pianeti ( eri com'angue / che uccide e passa).  Essa profetizza sventure all'umanità: "...A questa nera Terra / dicevi il tristo ribollir del sangue, / l'ombre vaganti, i gridi di sotterra, / tutti gli affanni, tutte le sventure, / tutti i delitti: incendi, stragi e guerra." E' da notare come Pascoli alluda all'aprirsi dell'Inferno e ai tormenti dei morti (i gridi di sotterra) e sottolinei la tragicità della situazione con l'anafora e la ripetizione dell'aggettivo "tutti" che intende evocare ogni sorta di sventura. Agli occhi di Dante, la cometa si presenta come una scure e fuma "lenta come un rogo" additandogli la sua città, nella quale non potrà fare ritorno perchè condannato a morte in contumacia (la scure, il rogo).  Egli però la guarda senza paura e spinge il suo sguardo su altri misteri e su altre sventure: la selva oscura e l'inferno stesso; egli è il "pellegrino del Mistero" che uccide la morte perchè non la teme più. Dante rappresenta quindi l'umanità intera, che sembra smarrire la strada ed essere priva di speranza di fronte al male del mondo o ad una catastrofe naturale, ma è capace di guardarla con dignità e forza morale.
La cometa  continua ad ergersi minacciosa in un "diluvio rosso" di frammenti di altri pianeti ridotti in briciole dall'impatto,  evocando così  immagini di distruzione cosmica. Si rivolge alla Terra e lo dice chiaramente: posso infrangerti e disperderti nel cielo "come una grigia nuvola di incenso" e nessuno saprà più che un tempo l'umanità è esistita. La natura può dunque, come diceva Leopardi, cancellarci senza nemmeno accorgersene, allora è tutto inutile: la scienza, la politica, la filosofia, la letteratura, l'arte? Ma Dante, l'Ombra, non si lascia impaurire e "solo nello spazio immenso / stava a te contro". Con la forza della razionalità afferma che il domani gli appartiene e che nemmeno di fronte alla minaccia della distruzione l'umanità deve rinunciare a ciò che la rende superiore a quegli astri che possono annientarla: la capacità di pensare (Io mi son un che penso; echeggia il passaggio del Purgatorio in cui Dante definisce la sua poesia).
La cometa lascia sulla fronte di Dante il segno della sventura che lo perseguiterà; il testo si conclude con una fantasiosa e apocalittica immagine del poeta che sale nell'alto dei cieli come in un plenilunio sereno e si perde nella infinita grandezza di Dio.
Servendosi di queste immagini Pascoli trasmette un messaggio forte sul ruolo dell'umanità nell'Universo: non importa se siamo piccoli, fragili ed esposti a catastrofi cosmiche, siamo in grado di pensare, abbiamo capacità che gli esseri inanimati non hanno (ad esempio quelle dei poeti) e vale sempre la pena di utilizzarle perchè così difendiamo la nostra dignità, anche se un giorno la Terra dovesse essere distrutta senza lasciare tracce. Allo stesso tempo l'uomo deve guardarsi dal delirio di onnipotenza e rendersi conto, come diceva Seneca che questo pianeta per cui gli uomini combattono è poca cosa, "aiuola che ci fa tanto feroci" per Dante che lo guarda dal Paradiso. E' significativo che questo messaggio sia stato affidato proprio a lui, non solo grande poeta ma anche uomo capace di affrontare miseria ed esilio  pur di difendere la sua dignità. Davvero ciò che rende superiore l'uomo ai "bruti", non solo animali ma anche comete, asteroidi o supernove,  è la capacità e anche il dovere morale di "seguir virtute e conoscenza".

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