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Edgard Allan Poe

 

La vita

Il cuore rivelatore

Il corvo

Commento de "Il corvo"

Il gatto nero

Commento de "il gatto nero"

  

LA VITA

 

E.A.Poe nasce nel 1809 a Boston; a 18 anni abbandona la famiglia e pubblica il primo libro di poesie. Dopo i primi insuccessi decide di arruolarsi, ma nel 1829 interrompe il servizio militare e successivamente si trasferisce a Baltimora, dove pubblica una seconda raccolta di poesie. Nel 1830 cerca di iniziare di nuovo la vita militare ma viene espulso dopo poco tempo a causa del suo rifiuto di sottoporsi alla rigida disciplina .L’anno dopo si trasferisce a New York dove pubblica un’altra raccolta di versi (Poems).Ritornato a Baltimora i suoi primi racconti tra i quali si fa notare Manoscritto trovato in una bottiglia”; In seguito, viene promosso vicedirettore del giornale del paese.Nello stesso anno sposa sua cugina, appena quattordicenne. Nel 1838 scrive il suo unico romanzo “La storia di Arthur Gordon Pym”, che non ha successo e l 'anno seguente pubblica una raccolta di tutti i racconti che aveva già scritto, che ha per titolo Racconti del grottesco e dell'arabesco”. Poe dopo aver lavorato nella redazione di un giornale di Filadelfia, decide di fondarne uno suo (The Stylus ), che non avrà molto successo.In questo periodo della sua vita la moglie si ammala  e lo scrittore non sapendo come curarla, fa eccesso di alcol e di droga.Nel 1844 ritorna a New York dove pubblica la  poesia  Il corvo” che finalmente avrà successo. Nonostante questo continua a bere oltre misura e si colma di nuovo di debiti di gioco. Ad aggravare la situazione è la morte della moglie: da questo momento Poe cade in uno stato di disperazione e non scrive più. Muore nel 1849 all’ospedale di Baltimora ,in uno stato di incoscienza.

 

Il Cuore Rivelatore

 
E' vero! Sono e sono sempre stato nervoso, molto, spaventosamente nervoso; ma perche' dite che sono pazzo? La malattia ha acuito i miei sensi, ma non li ha distrutti, non li ha soffocati. Particolarmente affinato era in me il senso dell'udito. Udivo tutte le cose del cielo e della terra. E udivo anche molte
cose dell'inferno. Come puo' essere dunque che io sia pazzo? Ascoltatemi! E
osservate con quanta lucidita', con quanta calma io posso narrarvi per filo e
per segno tutto cio' che accadde.

E' impossibile dire come l'idea mi sia entrata per la prima volta nel cervello.
Ma non appena l'ebbi concepita mi ossessiono' notte e giorno. Scopo non ne
avevo. Odio neppure. Volevo bene al vecchio. Non mi aveva mai fatto del male.
Non mi aveva mai insultato. Non desideravo il suo oro. Credo fosse il suo
occhio! Si', fu proprio cosi'! Aveva l'occhio di un avvoltoio, un occhio
pallido, azzurro, coperto di una pellicola. Ogni volta che esso si posava su di
me il mio sangue si raggelava, e cosi' per gradi, oh, per gradi molto lenti, io
decisi di togliere la vita al vecchio, e sbarazzarmi cosi' per sempre di
quell'occhio.

Ora questo e' il punto. Voi mi credete pazzo, ma i pazzi non capiscono nulla,
mentre avreste dovuto vedere ME. Avreste dovuto vedere con quanta accortezza
procedetti, con quanta cautela, con quanta preveggenza, con quanta
dissimulazione mi misi all'opera! Mai fui cosi' gentile col vecchio come
durante la settimana prima che io l'uccidessi. E ogni sera, verso mezzanotte,
giravo il paletto della sua porta e aprivo l'uscio... oh, come piano! E poi,
una volta ottenuta un'apertura sufficiente perche' la mia testa potesse
passarvi, mettevo dentro una lanterna cieca, tutta chiusa, ben chiusa, in modo
che non ne uscisse nessuna luce, e poi spingevo innanzi il capo. Oh, avreste
riso nel vedere con quanta furberia lo insinuavo nell'apertura! Lo muovevo
lentamente, in modo da non disturbare il sonno del vecchio. Mi ci voleva un'ora
intiera per far passare tutta quanta la testa entro la fessura in modo da
poterlo vedere mentre giaceva sul letto. Ah! Un pazzo avrebbe agito con
altrettanta avvedutezza? Poi, quando tutta la mia testa era entrata nella
stanza, scoprivo la lanterna cautamente, oh, quanto cautamente, cautissimamente
(poiche' i cardini scricchiolavano) la scoprivo giusto quel tanto che mi
permetteva di far cadere un unico sottile raggio sull'occhio d'avvoltoio. E
questo feci per sette lunghe notti, esattamente ogni notte a mezzanotte, ma
trovavo l'occhio sempre chiuso, cosicche' mi era impossibile compiere la mia
opera, poiche' non era il vecchio che mi irritava ma il suo Occhio Maligno. E
ogni mattina, quando il giorno spuntava, entravo baldanzosamente nella stanza e
gli parlavo con audacia, chiamandolo per nome in tono cordiale, e gli chiedevo
come avesse trascorso la notte. Percio' capirete che avrebbe dovuto essere un
vecchio molto astuto per sospettare che ogni notte, a mezzanotte in punto, io
lo spiavo mentre egli dormiva. L'ottava sera fui piu' cauto del solito
nell'aprire la porta. Una lancetta da orologio dei minuti si muove piu'
rapidamente di quel che si muovesse la mia mano. Mai prima di quella sera avevo
SENTITO con tanta intensita' tutta la somma dei miei poteri e della mia
sagacia. Stentavo a trattenere la mia sensazione di trionfo. Pensare che io ero
li', ad aprire la porta a poco a poco, senza che egli neppure lontanamente
sospettasse le mie azioni o i miei pensieri segreti. Per poco non mi misi a
sogghignare, e forse egli mi intese, poiche' ad un tratto si mosse sul letto,
quasi risvegliato di soprassalto. Ma forse ora crederete che io arretrassi...
ma non fu cosi'. La sua stanza fittamente immersa nelle tenebre era nera come
la pece (poiche' le imposte erano saldamente chiuse e sprangate per timore dei
ladri): percio' ero certo che non mi potesse vedere nell'atto di aprire
l'uscio, e seguitai quindi a spingere la maniglia in avanti, sempre piu' in
avanti, senza esitazioni.

Gia' avevo messo dentro la testa, e stavo per aprire la lanterna, quando il mio
pollice scivolo' sul gancetto di metallo, e il vecchio balzo' a sedere sul
letto gridando: - Chi e' la'?

Rimasi perfettamente immobile e non proferii sillaba: durante un'ora intera non
mossi un solo muscolo, eppure in tutto quel tempo non lo intesi riadagiarsi.
Era sempre a sedere sul letto in ascolto... esattamente come avevo fatto io,
notte per notte, mentre ascoltavo gli orologi della morte rintoccare sulla
parete.

Infine avvertii un gemito sommesso, e compresi che era un gemito di terrore
mortale. Non era ne' un gemito di sofferenza ne' un gemito di dolore, oh, no!
Era l'ansito soffocato, contenuto, che si leva dal fondo dell'anima allorche'
questa e' sopraffatta dalla paura. Conoscevo bene quell'ansito. Piu' di una
volta, a mezzanotte in punto, quando l'universo intiero giaceva addormantato,
esso si e' levato dal mio petto, incupendo con i suoi echi spaventosi i terrori
che mi dilaniavano. Ripeto che lo conoscevo bene. Capivo quel che il vecchio
sentiva, e avevo pieta' di lui, benche' dentro di me sghignazzassi. Sapevo che
si era svegliato sin dal primo leggero rumore, allorche' si era rigirato nel
letto. Da quel momento i suoi timori non avevano fatto che crescere entro di
lui. Doveva aver tentato di giudicarli senza motivo, ma non gli era stato
possibile. Certo si era detto: "Deve essere semplicemente il vento nel
camino... oppure un topo che attraversa il pavimento", oppure: "forse soltanto
un grillo che ha trillato un'unica volta". Si', certo doveva essersi confortato
con queste supposizioni, ma doveva averle trovate tutte inutili. TUTTE INUTILI:
perche' la Morte, avvicinandosi a lui, era venuta avanzando entro la sua nera
ombra e aveva avviluppato la sua vittima. Ed era il lugubre influsso dell'ombra
invisibile che gli faceva sentire, benche' non potesse ne' udire ne' vedere,
che gli faceva SENTIRE la presenza della mia testa all'interno della stanza.

Dopo aver aspettato a lungo, con infinita pazienza, senza averlo udito
riadagiarsi, decisi di socchiudere, oh, appena appena, una sottilissima
fenditura nella lanterna. L'aprii dunque, non potete immaginare con quanta
cautela, sinche' un sottilissimo tenuissimo raggio, simile al filo di un ragno,
balzo' fuor della fenditura e cadde in pieno sull'occhio d'avvoltoio.

Era aperto, tutto aperto, completamente spalancato, e nel fissarlo la furia mi
invase. Lo vedevo distintamente, tutto di un azzurro opaco, con quell'odioso
velo che lo ricopriva e che faceva raggelare persino il midollo delle mie ossa;
ma non potevo vedere altro del vecchio, ne' della sua faccia, ne' del suo
corpo, poiche' avevo rivolto il raggio come per istinto proprio su quell'unico
maledetto punto.

E non vi ho forse detto che cio' che voi scambiate per pazzia altro non era che
una esasperazione dei miei sensi? Ebbene: ecco che ora le mie orecchie
percepirono un rumore sommesso, soffocato, veloce, simile a quello che fa un
orologio quando e' avvolto nel cotone. Anche QUEL suono, conoscevo. Era il
battito del cuore del vecchio. Questo aumento' il mio furore, allo stesso modo
che il rullare di un tamburo stimola il coraggio del soldato.

Ma anche allora mi trattenni e rimasi immobile. Respiravo appena. Tenevo la
lanterna ferma. Cercavo di vedere sino a che punto sarei riuscito a mantenere
immobile sull'occhio il raggio. Frattanto il tam-tam infernale del cuore
aumentava. Si faceva sempre piu' rapido e sempre piu' forte a ogni attimo. Il
terrore del vecchio DEVE essere stato infinito! Aumentava, ripeto, a ogni
istante! Mi seguite bene? Vi ho detto che sono nervoso: e' vero. E adesso in
quell'ora spenta e morta della notte, nel silenzio inverosimile di quella
vecchia casa, l'irreale rumore suscito' in me un terrore incontrollabile. E
tuttavia per altri lunghi minuti mi trattenni e restai immobile. Ma il battito
cresceva, cresceva! Mi parve che il cuore dovesse scoppiare. Ed ecco che una
nuova angoscia mi strinse: il rumore sarebbe stato inteso da qualche vicino!
L'ora del vecchio era giunta! Con un urlo insano feci scattare lo schermo della
lanterna e balzai nella stanza. Egli grido' una sola volta, una volta soltanto.
Immediatamente lo buttai a terra e gli gettai addosso il letto pesante. Allora
presi a sorridere lietamente, accorgendomi di averla fatta finita cosi' in
fretta. Ma per molti miuti il cuore seguito' a battere con un rumore soffocato.
Cio' pero' non mi turbava; nessuno poteva intenderlo di la' dalla parete.
Infine il rumore cesso'. Il vecchio era morto. Sollevai il letto ed esaminai il
cadavere. Si', era morto, morto stecchito. Posai una mano sul cuore e ve la
tenni per lunghi minuti. Non avvertii pulsazione alcuna. Il vecchio era morto
stecchito. Il suo occhio non mi avrebbe piu' ossessionato. Se ancora mi
giudicate pazzo, piu' non mi giudicherete tale quando vi avro' descritto tutti
gli accorgimenti e le precauzioni da me presi per occultare il cadavere. La
notte trascolorava rapidamente e io lavoravo in fretta e in silenzio. Per prima
cosa smembrai il corpo, gli spiccai il capo, le braccia e le gambe.

Divelsi quindi tre assi del pavimento della stanza e posai ogni cosa fra i
travicelli. Rimisi quindi a posto le tavole con tanta accuratezza, con tanta
astuzia, che nessun occhio umano, neppure il SUO, avrebbe potuto scorgere
alcunche' di sospetto. Non c'era da lavar via nulla, nessuna macchia di nessun
genere, nessuna traccia di sangue. Ero stato troppo guardingo per cadere in un
simile errore. Avevo raccolto tutto in un mastello... Ah! ah!

Quando ebbi sbrigata la mia bisogna, erano le quattro del mattino; ma ogni cosa
era ancora avvolta nelle tenebre come a mezzanotte. Non appena la campana cesso'
i suoi rintocchi intesi bussare all'uscio di strada. Scesi ad aprire col cuore
leggero: infatti che cosa avevo da temere, ORMAI? Entrarono tre uomini che si
presentarono con perfetta gentilezza come funzionari di polizia. Un vicino aveva
inteso un urlo durante la notte; aveva sospettato qualcosa di losco, aveva
riferito i propri sospetti alla questura locale, ed essi (i funzionari) avevano
avuto l'ordine di perquisire l'abitazione.

Sorrisi: CHE COSA avevo da temere, infatti? Pregai gli uomini di accomodarsi.
L'urlo, spiegai, era stato lanciato da me nel sonno. In quanto al vecchio era
partito per la campagna. Feci fare ai poliziotti il giro della casa. Li esortai
a cercare, a cercare BENE. Infine li condussi nela sua stanza. Mostrai loro i
suoi tesori, che erano in ordine e al sicuro. Nell'entusiasmo della mia
sicurezza portai nella stanza alcune seggiole e insistetti perche' sedessero LI'
a riposarsi dalle loro fatiche, mentre io, nella folle audacia del mio completo
trionfo, posai la mia seggiola proprio sul punto esatto sotto cui riposava il
cadavere della vittima.

I funzionari erano soddisfatti. I miei MODI li avevano convinti. Io ero
straordinariamente calmo. Gli uomini sedevano, e mentre io rispondevo
animatamente, essi discorrevano di argomenti familiari. Ma in breve mi sentii
impallidire e cominciai a desiderare in cuor mio che se ne andassero. La testa
mi doleva e mi sembrava che le orecchie mi rintronassero. Ma gli uomini
seguitarono a sedere e a chiacchierare. Il ronzio delle orecchie si fece piu'
distinto... Diveniva sempre piu' intenso, sempre piu' distinto: ripresi a
discorrere ancor piu' animatamente per sbarazzarmi di quella sensazione
sgradevole, ma essa continuava, e diventava anzi sempre piu' definita, finche'
mi accorsi che il rumore NON risuonava entro le mie orecchie.

Senza dubbio dovevo essere diventato PALLIDISSIMO, ma seguitavo a discorrere
sempre piu' animatamente, e alzando il tono della mia voce. Nondimeno il rumore
aumentava, e cosa potevo fare? ERA UN RUMORE SOMMESSO, SOFFOCATO, VELOCE;
ASSOMIGLIAVA MOLTISSIMO AL RUMORE CHE FA UN OROLOGIO QUANDO E'
AVVOLTO NEL COTONE. Ansimai: mi sentivo il fiato mozzo; e tuttavia i poliziotti
non lo avevano avvertito. Parlai ancora piu' in fretta, con irruenza ancora maggiore,
ma il rumore aumentava inesorabilmente. Mi alzai e presi a discutere di
sciocchezze, in tono di voce altissimo e gesticolando violentemente, ma il
rumore cresceva implacabile. Perche' non se ne andavano? Incominciai a
passeggiare innanzi e indietro a lunghi passi, quasiche' i discorsi di quegli
uomini mi avessero infuriato, ma il rumore cresceva, cresceva sempre. Oh, Dio!
Che cosa POTEVO fare? Schiumavo, vaneggiavo, bestemmiavo! Volsi di scatto la
seggiola su cui mi ero messo a sedere, la trascinai sulle tavole, ma il rumore
copriva ogni cosa aumentando continuamente. Si faceva sempre piu' forte, sempre
piu' forte, SEMPRE PIU' FORTE! E tuttavia gli uomini seguitavano a discorrere
piacevolmente, e sorridevano. Era mai possibile che non udissero? Dio
onnipotente! No, no! Certo che lo udivano! Sospettavano! Sapevano! Si beffavano
della mia disperazione! Questo pensai, e questo penso. Ma qualsiasi cosa era
meglio dell'angoscia mortale che mi attanagliava! Qualsiasi cosa era piu'
tollerabile di quella derisione! Non potevo piu' sopportare quei sorrisi
ipocriti! Compresi che dovevo urlare o altrimenti sarei morto! Ed ecco, ancora!
Ascoltate! Piu' forte! Piu' forte! Piu' forte! PIU' FORTE!

- Mascalzoni! - urlai, - smettetela di fingere! Confesso il delitto! Togliete
quelle tavole! Qui, qui! E' il battito del suo odioso cuore!
 

Il corvo

                                                   

 

                                                                   E.A.POE

Una tetra mezzanotte meditavo fiacco e stanco
Sopra antichi e rari tomi d'obliata sapienza;
Sonnecchiavo, già quasi dormivo, quando a un tratto udii battere piano,
Come alcuno sommesso picchiasse, picchiasse sommesso alla porta.
"È una visita", mi dissi, "che picchia così alla mia porta
Solo questo e nulla più."

Ah, chiaramente ricordo, fu nel livido dicembre,
E ogni singola brace morente inscriveva il suo spettro all'intorno.
Ansioso attendevo il mattino; invano avevo cercato
Nei libri una tregua al dolore, al dolore per la morta Eleonora,
Per la fulgida e rara fanciulla che tra gli angel ha nome Eleonora,
E nome tra noi non ha più.

E il serico e triste e vago fruscìo d'ogni singola tenda viola
Mi turbava, mi riempiva di terrori mai provati;
E per placare il mio cuore m'alzai ripetendo:
"È una visita che chiede d'entrare così alla mia porta,
Una visita attardata che chiede d'entrare così alla mia porta;
Certo è questo e nulla più."

In breve mi detti coraggio; e senza più a lungo esitare:
"Signore", dissi, "o signora, vi chiedo umilmente perdono;
In verità sonnecchiavo, e tanto sommesso picchiaste
E tanto leggero picchiaste, picchiaste leggero alla porta,
Che quasi credetti a un errore", e tutta dischiusi la porta:
Tenebra fonda e non più.

Quella tenebra fonda scrutando, a lungo perplesso ristetti, tremando,
Incerto ristetti sognando sogni non mai sognati da mortale;
Ma il silenzio era intatto, e l'aria immota non dava segno nessuno,
E una sola parola fu detta, la lieve parola: "Eleonora!"
Ch'io mormorai lieve, e un'eco ripeté piano: "Eleonora!"
Questo soltanto e non più.

Tornato che fui nella stanza con l'anima dentro infiammata
Picchiare udii in breve di nuovo, alquanto più forte di prima.
"Per certo," io mi dissi, "per certo, questa volta è alla finestra;
Guardiamo dunque là fuori, e questo mistero indaghiamo,
Il mio cuore si calmi un momento, e questo mistero indaghiamo;
Certo è il vento e nulla più.

Aprii la finestra, e all'istante, con grande fruscìo e sbattere d'ali,
Venne avanti un Corvo austero dei pii giorni del passato;
Non fece il più piccolo inchino, non si fermò né ristette;
Ma, con l'aria d'un magnate o d'una dama, si posò sulla mia porta.
Si posò sopra un busto di Pallade, alto sopra la mia porta,
Lassù si posò e nulla più.

Poi quell'uccello d'ebano inducendo i miei tristi pensieri al sorriso,
Con il grave e compunto decoro del contegno che si dava:
"Pur se la tua cresta è tronca e rasa, tu non sei," dissi, "certo, da poco,
Lugubre Corvo antico e tetro, qui giunto dalle rive della Notte,
Dimmi qual nome regale tu porti sulle plutonie rive della Notte!"
Il Corvo rispose:
"Mai più".

Molto stupii di sentire quel goffo animale parlare con tanta chiarezza
Per quanto la risposta poco senso, poca attinenza mostrasse;
Poi che ognuno è per certo d'accordo che non mai creatura umana
Ebbe il dono di vedere un animale alto sopra l sua porta,
Bestia o uccello in cima al busto alto sopra la sua porta,
Con un nome siffatto:
"Mai più".

Ma l'uccello, solo in cima al placido busto, non altro
Disse che quell'unica parola, come in essa tutta l'anima egli aprisse;
Non fece udire altro suono, non mosse una piuma,
Ma quando, più che dire, io mormorai: "Altri amici hanno già preso il volo,
Fuggirà domattina anche questo, come le mie speranze han preso il volo",
L'uccello disse:
"Mai più".

Stupito di sentire nel silenzio parole di tanta giustezza,
"Senza dubbio", mi dissi, "ripete le sole parole che sa,
Apprese da un qualche padrone infelice cui la Sventura crudele
Seguì sempre pi dappresso, fin che tutti i suoi canti un ritornello,
Fin che i rintocchi della sua Speranza ebbero quel solo ritornello
Funereo:
"Mai più".

Ma il Corvo la mia fantasia ancora inducendo al sorriso,
Sospinsi una molle poltrona di fronte all'uccello e al busto e alla porta;
Poi, affondando nel velluto, mi detti insieme a legare
Idea con idea, meditando che cosa quel lugubre uccello d'un tempo,
Che cosa quell'orrido e goffo, quel lugubre e tristo e spettrale uccello d'un tempo
Intendesse gracchiando:
"Mai più".

A questo pensando io sedevo, pur senza rivolgere sillaba
All'uccello i cui occhi di fiamma bruciavano ora il mio cuore;
Questo e altro fantasticavo, posando la testa a bell'agio
Sul cuscino ricoperto di velluto che la lampada arrossava,
Ed ELLA non premerà più.

L'aria mi parve allora farsi più greve, profumata da un occulto incensiere
Da Serafini agitato il cui passo tinniva sul molle tappeto.
"Miserabile", dissi, "Iddio ti porge, per questi angeli ti invia
Un nepente, un nepente a sollievo dei ricordi di Eleonora!
Bevi, oh bevi, il buon nepente, e dimentica la morta Eleonora!"
Il Corvo disse:
"mai più".

"Profeta" dissi, "mostro infernale, dèmone o uccello, pur sempre profeta!
Ti mandi il Maligno o qui a riva t'abbia spinto la bufera,
Desolato ma intrepido ancora su questa nuda terra incantata,
Su questa casa oppressa dall'orrore, dimmi, dimmi, ti scongiuro
C'è un balsamo, un balsamo in Galaad? Dimmi, dimmi, ti scongiuro!"
Il Corvo rispose:
"Mai più".

"Profeta" dissi, "mostro infernale, dèmone o uccello, pur sempre profeta!
Per il Cielo che s'inarca su di noi, per il Dio che entrambi adoriamo,
Di' a quest'anima colma di pianto se mai nell'Eden lontano
Potrà stringere a sè una santa fanciulla che tra gli angeli ha nome Eleonora,
Potrà stringere a sè una fulgida e rara fanciulla che tra gli angeli ha nome Eleonora."
Il Corvo rispose:
"Mai più".

"Sia questo", gridai, balzando in piedi, "dèmone o uccello, l'addio!
Va', ritorna alla bufera, alla plutonia riva della Notte!
Non lasciare piuma nera a ricordo della menzogna che hai detta!
Non spezzare la mia solitudine, via dal busto ch'è sopra la mia porta!
Togli il becco dal mio cuore, la tua forma di sopra la mia porta!"
Il Corvo disse:
"Mai più".

E il Corvo, senza muovere una piuma, posa ancora, posa ancora
Sul pallido busto di Pallade alto sopra la mia porta;
E i suoi occhi sembran quelli d'un demonio in preda ai sogni,
E la luce che l'inonda ne riflette l'ombra in terra;
E l'anima mia da quell'ombra che fluttua distesa per terra
Non si leverà, mai
più!

 

Commenti

La paura fa nascere la pazzia e il terrore nei confronti del vecchio,il quale non rappresenta una minaccia concreta per il personaggio ma il  cui occhio indagatore fa degenerare la sua situazione psicologica fino a portarlo all’omicidio e a  un bisogno ossessivo di farlo chiudere definitivamente.Questo bisogno di sopprimere la paura ha fornito però il risultato opposto,portando un nuovo terrore e rimorso insopportabile,tale che lo porterà a confessare il delitto ai poliziotti che non lo sospettavano minimamente.Il cuore è inoltre un elemento di ossessività che rappresenta la pazzia del personaggio che crede di sentirlo battere sotto le travi dove lo ha nascosto. L’occhio invece rappresenta la possibilità di vedere scoperta la sua personalità a livello interiore,e incosciamente il suo rimorso che una parte di se vuole vedere distrutto,e allora decide di distruggere questo Capro Espiatorio.

 

Gli elementi che fanno di questa poesia un racconto del terrore sono l’angoscia della perdita di sua moglie Eleonora che viene identificata nella figura del corvo, che fa perdere tutte le sue speranze di rivedere la sua amata.

In più è presente una serie di elementi secondari,caratteristici di un racconto del terrore quali che il fatto si svolga una tetra mezzanotte di dicembre, il battito costante sulla porta e le parole ossessive e le parole del corvo

 IL GATTO NERO

 

Per il racconto piu' straordinario, e al medesimo tempo piu' comune, che sto
per narrare, non aspetto ne' pretendo di essere creduto. Sarei davvero pazzo a
pretendere che si presti fede a un fatto a cui persino i miei sensi respingono
la loro stessa testimonianza. Eppure pazzo non sono, e certamente non vaneggio.
Ma domani morro', e oggi voglio scaricare la mia anima. Mio scopo immediato e'
di porre innanzi al mondo, in modo piano, succinto, e senza commenti, una serie
di casi semplicemente domestici. Nel loro concatenarsi questi fatti mi hanno
terrificato, mi hanno torturato, mi hanno annientato. Non tentero' tuttavia di
spiegarli. Per me essi non hanno rappresentato che orrore; a molti invece piu'
che terribili essi sembreranno BAROQUES. In seguito forse un intelletto sapra'
condurre il mio fantasma al senso comune, un intelletto piu' calmo, piu'
logico, meno eccitabile del mio, il quale scorgera' nelle circostanze che io
descrivo con terrore, null'altroche un normale susseguirsi di cause e di
effetti naturalissimi.
Sin dall'infanzia sono stato conosciuto per la docilita' e la mitezza del mio
carattere. Ero talmente tenero di cuore, anzi, che i miei compagni mi avevano
preso a soggetto delle loro beffe. Amavo soprattutto gli animali, e i miei
genitori mi avevano concesso di possedere una grande varieta' di bestiole
preferite. Passavo con questi animaletti la maggior parte del mio tempo, e la
mia piu' perfetta felicita' consisteva nel nutrirli e nell'accarezzarli. Questo
tratto caratteristico della mia indole crebbe in me coll'andare degli anni e,
divenuto adulto, trassi da cio' una delle mie principali fonti di
soddisfazione. A coloro che abbiano provato un vivo affetto verso un cane
fedele e intelligente non occorrera' che io spieghi la natura e l'intensita'
del piacere derivante da questa tendenza. Vi e' qualcosa nell'amore spoglio di
egoismo e ricco di sacrificio di una bestia senz'anima, che va direttamente al
cuore di colui che abbia frequenti occasioni di saggiare la pacchiana amicizia
e l'instabile fedelta' del cosidetto UOMO.
Mi sposai giovane, e fui felice di ritrovare in mia moglie una tendenza non
contrastante con la mia. Avendo notato la mia debolezza verso gli animali
domestici, non perdeva occasione di procurarmi quelli che mi piacevano. Avevamo
diversi uccelli, dei pesciolini, un bel cane, alcuni conigli, una scimmietta, e
UN GATTO. Quest'ultimo era un animale bellissimo, di grossezza notevole,
completamente nero, e straordinariamente intelligente. Parlando della sua
intelligenza, mia moglie che in cuor suo non era scevra di una certa punta di
superstizione, faceva frequenti allusioni all'antica credenza popolare secondo
la quale tutti i gatti neri siano streghe travestite. Non che ella si
esprimesse mai SERIAMENTE su questo punto, e cito questo particolare soltanto
perche' mi capita ora, proprio per caso, di ricordarlo.
Pluto, cosi' si chiamava il gatto, era il mio animale preferito e il mio
compagno di giochi. Io soltanto gli davo da mangiare, ed egli mi seguiva
dovunque, per casa: anzi duravo fatica a impedirgli di accompagnarmi persino
per la strada.
La nostra amicizia si protrasse cosi' per parecchi anni, durante i quali il mio
temperamento e il mio carattere in genere, ad opera del demone Intemperanza
(arrossisco nel confessarlo), subirono un radicale mutamento verso il peggio.
Ero divenuto di giorno in giorno piu' scontroso, piu' irritabile, sempre piu'
incurante dei sentimenti altrui. Ero giunto a usare verso mia moglie un
linguaggio sconveniente. Alla fine arrivai persino alla violenza personale
contro di lei. Naturalmente anche le mie besrtiole ebbero a soffrire di questo
mutamento del mio carattere. Non solo le trascuravo, ma le maltrattavo. Verso
Pluto comunque sentivo ancora abbastanza tenerezza per trattenermi dal
picchiarlo, mentre non mi facevo srupolo di perquotere i conigli, la scimmia,
persino il cane, se essi per caso o per affetto mi si mettevano tra i piedi. Ma
il mio male peggiorava, quale male infatti e' peggiore dell'alcool? E infine
persino Pluto, il quale ormai invecchiava, ed era di conseguenza alquanto
stizzoso, persino Pluto comincio' a subire gli effetti del mio cattivo
carattere.
Una sera, ritornando a casa dai miei vagabondaggi per la citta', ubriaco
fradicio, ebbi la sensazione che il gatto evitasse la mia presenza. Lo
afferrai, e l'animale, allora, spaventato dalla mia violenza, mi produsse sulla
mano, con i suoi denti, una lieve ferita. In un attimo fui invaso da una furia
demonica. Non mi riconoscevo piu'. Era come se la mia anima originaria mi si
fosse a un tratto spiccata dal corpo, e una malvagita' peggio che infernale,
alimentata dal gin, pervase ogni fibra del mio essere. Mi tolsi di tasca un
temperino, lo apersi, afferrai la povera bestia per la gola, e deliberatamente
gli feci saltare l'occhio dall'orbita. Arrossisco, avvampo, rabbrividisco,
mentre la mia penna descrive questa inaudita atrocita'.
Allorche' col mattino la ragione mi ritorno', dopo che il sonno aveva fatto
dileguare lungi da me i fumi dell'orgia notturna, provai un sentimento per
meta' di orrore, per meta' di rimorso, per il delitto di cui mi ero reso
colpevole; ma non era che un sentimento debole e ambiguo, e l'anima ne rimase
intatta. Mi rituffai nei miei eccessi, e ben presto affogai nel vino ogni
ricordo del mio misfatto.
Coll'andare del tempo tuttavia il gatto guari'. Certo la sua occhiaia vuota
aveva un aspetto pauroso, ma l'animale non pareva soffrire piu' alcun dolore.
Si aggirava per la casa come al solito, ma com'era da aspettarsi, fuggiva
terrorizzato non appena mi vedeva. Mi era rimasto ancora abbastanza del mio
vecchio cuore per sentirmi a tutta prima addolorato da questo evidente disgusto
da parte di una creatura che un tempo mi aveva tanto amato. Ben presto pero' a
questo sentimento succedette una viva irritazione. E infine si impadroni' di
me, per sommergermi in modo definitivo e irrevocabile, lo spirito della
PERVERSITA'. Di questo spirito la filosofia non si cura. Eppure sono sicuro,
quanto sono sicuro che la mia anima vive, che la perversita' e' uno degli
impulsi piu' primitivi del cuore umano, una di quelle facolta' o sentimenti
primari non analizzabili che dirigono il carattere dell'Uomo. Chi non ha almeno
cento volte commessa un'azione sciocca o vile, per nessun altro motivo se non
perche' sa che non dovrebbe commetterla? Non proviamo noi una tendenza perenne,
a dispetto di ogni nostra migliore saggezza, a violare cio' che e' la LEGGE,
soltanto perche' la riconosciamo tale? Questo spirito di perversita', ripeto,
produsse in me il decadimento finale. Era questo insondabile anelito dell'anima
A TORTURARE SE STESSA, a violentare la propria stessa natura, a fare il male
soltanto per amore del male, che mi sospinse a continuare e infine a consumare
l'offesa che avevo inflitta alla bestia innocente.
Un mattino, a sangue freddo le passai un cappio al collo e la impiccai al ramo
di un albero; la impiccai, con le lagrime che mi sgorgavano dagli occhi e col
piu' amaro rimorso nel cuore; la impiccai PERCHE' sapevo che mi aveva amato, e
PERCHE' sentivo che non mi aveva dato alcun motivo di offesa; la impiccai
PERCHE' sapevo che cosi' facendo commettevo un peccato, un peccato mortale che
avrebbe posto in tale pericolo la mia anima immortale da sottrarla (se una cosa
simile fosse possibile) perfina all'infinita misericordia dell'Infinitamente
Misericordioso e Infinitamente Terribile Iddio.
La notte di quel giorno in cui avevo compiuto questo gesto crudele fui
risvegliato nel sonno da grida di "al fuoco! Al fuoco!". I cortinaggi del mio
letto erano in fiamme, tutta la casa ardeva. Fu con grande difficolta' che mia
moglie, una domestica e io stesso riuscimmo a salvarci dall'incendio. La
distruzione fu totale. Tutta la mia sostanza venne inghiottita dal disastro, e
da quel momento in avanti io mi abbandonai alla disperazione.
Non ho affatto la debolezza di cercar di stabilire un nesso di causa e di
effetto tra questa sciagura e l'atrocita' da me commessa. Ma sto enumerando una
catena di fatti, e non desidero percio' lasciare incompiuto anche un solo
eventuale anello. Il giorno successivo all'incendio mi recai a ispezionare le
macerie. Tutti i muri della casa erano caduti, a eccezione di uno solo. Si
trattava di un muro divisorio, non molto massiccio, che si trovava verso il
mezzo della casa, e contro il quale aveva sempre poggiato la testa del mio
letto. In questo punto l'intonaco aveva in gran parte resistito all'azione del
fuoco, un particolare che io attribuii al fatto essere stata quella parete
appunto ripulita di fresco. Intorno a questo muro si era radunata una densa
folla, e molte persone sembravano esaminare un certo tratto di parete con
attenzione minutissima e ansiosa. Le parole "Strano!", e "Incredibile!", e altre
espressioni consimili eccitarono la mia curiosita'. Mi avvicinai e vidi, quasi
fosse scolpita in BAS-RELIEF sulla superficie bianca, l'immagine di un gatto
gigantesco. L'effetto era reso con una precisione che aveva veramente del
fantastico. Intorno al collo dell'animale penzolava una corda.
A tutta prima, nel trovarmi di fronte a quella apparizione, poiche' non potevo
considerarla altrimenti, fui invaso da uno sbalordimento e da un terrore
incontrollabili. Ma in seguito la ragione mi venne in soccorso. Mi rammentai di
avere impiccato il gatto in un giardino adiacente alla casa. Quando era stato
dato l'allarme d'incendio questo giardino era stato immediatamente invaso dalla
folla, e tra questa qualcuno doveva aver tolto l'animale dall'albero e doveva
averlo gettato attraverso la finestra aperta, nella mia stanza. Forse avevano
fatto questo con l'intenzione di svegliarmi. La caduta di altre pareti aveva
schiacciato la vittima della mia crudelta' nella massa dell'intonaco spalmato
di fresco; e la calce di questo, unitamente alle fiamme a all'AMMONIA esalante
dalla carogna avevano poi compiuto la raffigurazione che io ora vedevo dinanzi.
Per quanto riuscissi a placare con questa riflessione il mio cervello, se non
completamente la mia coscienza, e giustificare cosi' il fatto sorprendente che
ho teste' narrato, non mi fu tuttavia possibile sottrarmi alla profonda
impressione che esso aveva provocato sulla mia fantasia. Per mesi interi non
riuscii a liberarmi del fantasma del gatto, e durante tutto quel tempo il mio
spirito fu tormentato da un sentimento indefinito che poteva sembrare, ma non
era, rimorso. Giunsi sino al punto di rimpiangere la perdita dell'animale e a
guardarmi attorno, nei sordidi ambienti che ormai frequentavo d'abitudine, in
cerca di qualche altro esemplare della stessa specie, se non proprio del tutto
identico, da poter coccolare, e grazie al quale sostituire la bestiola perduta.
Una notte, mentre sedevo, in stato di semistupidimento, in una taverna
malfamata, la mia attenzione fu improvvisamente attratta da un oggetto nero che
posava sul coperchio di una delle tante botti enormi piene di gin o di rum
costituenti il principale arredamento della stanza. Gia' da alcuni minuti stavi
fissando proprio il coperchio di quella botte, e fui percio' sorpreso di non
essermi accorto prima dell'oggetto che vi era adagiato sopra. Mi avvicinai e lo
toccai con la mano. Era un gatto nero enorme, grosso quanto Pluto, e che gli
assomigliava in tutto tranne che per un unico particolare. Pluto non aveva un
solo pelo bianco in tutto il corpo, mentre questo gatto aveva l'intera zona del
petto ricoperta di una larga se pure indefinita macchia bianca.
Non appena lo toccai l'animale si alzo' immediatamente, si mise a ronfare
forte, si strofino' contro la mia mano, parve insomma felice della mia
attenzione verso di lui. Era dunque proprio il gatto di cui andavo in cerca.
Offersi subito al taverniere di acquistarlo, ma l'uomo dichiaro' di non avere
alcun diritto su quella bestia, poiche' non ne sapeva nulla, ne' mai l'aveva
veduta prima.
Seguitai ad accarezzarlo, e mentre mi disponevo a ritornare a casa, l'animale
dimostro' subito una evidente intenzione di accompagnarmi. Naturalmente ne fui
ben contento, e di quando in quando mi chinavo a lisciargli il pelo pur
seguitando a procedere nel mio cammino. Non appena giunto a casa la bestia si
addomestico' subito e divenne immediatamente il coccolo di mia moglie.
Per parte mia mi accorsi ben presto che in me sorgeva contro l'animale una viva
antipatia. Era proprio il contrario di quanto avevo preveduto, ma non so
perche' o come fosse, la sua manifesta tenerezza verso la mia persona mi
indispettiva e disgustava. Gradatamente questi sentimenti di ribrezzo e di
insofferenza si tramutarono in un odio profondo. Evitavo l'animale; un vago
senso di vergogna e il ricordo del mio precedente atto di crudelta' mi impediva
di maltrattarlo fisicamente. Per alcune settimane mi trattenni dal picchiarlo,
o dal fargli comunque del danno, ma a poco a poco, oh, per lentissimi gradi,
giunsi a considerarlo con un ribrezzo indescrivibile e a fuggire
silenziosamente la sua odiosa presenza come sarei fuggito dal lezzo
pestilenziale di una malattia contagiosa.
Quel che alimentava senza dubbio il mio odio verso l'animale era stata la
scoperta, il mattino successivo alla sua venuta nella mia casa, che anche
questo gatto, al pari di Pluto, era cieco di un occhio. Questo particolare
invece non aveva fatto che renderlo ancora piu' caro a mia moglie, la quale,
come gia' ho detto, possedeva in sommo grado quella umanita' di sentimenti che
era stata un tempo il mio tratto caratteristico, e la fonte di molte tra le mie
piu' semplici e piu' pure soddisfazioni.
Ma quanto piu' la mia avversione per questo gatto cresceva, tanto piu' sembrava
aumentare da parte sua la tenerezza verso di me. Seguiva i miei passi con una
ostinazione che sarebbe difficile far comprendere al lettore. Dovunque mi
sedessi, subito si accovacciava sotto la mia seggiola, o mi balzava sulle
ginocchia, importunandomi con le sue insopportabili feste. Se mi alzavo per
passeggiare, ecco che correva a mettermisi fra i piedie per poco non mi faceva
cadere, oppure conficcando nel mio vestito i suoi unghioli lunghi e aguzzi, si
arrampicava con questo sistema sino al mio petto. In quei momenti, benche' mi
divorasse il desiderio di distruggerlo con un colpo solo, ero trattenuto dal
far cio', in parte dal ricordo del mio precedente delitto, ma soprattutto,
lasciate che lo confessi subito, da un vero e proprio TERRORE dell'animale.
Questo terrore non era esattamente il terrore di un possibile male fisico, e
tuttavia non saprei come altrimenti definirlo. Ho quasi vergogna di ammettere -
si', persino in questa cella d'infamia, ho quasi vergogna d'ammettere, - che il
terrore e l'orrore ispiratimi dall'animale erano stati rafforzati da una tra le
piu' chimeriche assurdita' che sia possibile immaginare. Mia moglie aveva piu'
d'una volta richiamata la mia attenzione sulla stranezza della macchia di peli
bianchi di cui ho gia' accennato, e che costituiva la sola differenza visibile
tra questo misterioso gatto e quello che io avevo ucciso. Il lettore si
rammentera' che questo segno, per quanto grande, dapprincipio era molto
indefinito, mentre invece in seguito (per gradi lentissimi, quasi
impercettibili, e che la mia Ragione si rifiuto' a lungo di ammettere,
respingendoli come un'assurda fantasia) aveva infine assunto nettezza di
contorni e una forma precisa. Esso era divenuto ora la rappresentazione di un
oggetto che rabbrividisco a nominare, e per questo soprattutto odiavo e
paventavo e avrei voluto sbarazzarmi di quel mostro SE SOLTANTO LO AVESSI OSATO,
poiche' questo segno, ripeto, si era finalmente trasformato nella figurazione
limpidissima di un oggetto odioso e ributtante: era divenuto una FORCA, oh,
lugubre e terribile macchina di orrore e di delitto, di agonia e di morte!
E adesso la mia miseria superava la miseria tutta dell'Umanita' intera. E una
BESTIA BRUTA, il cui simile io avevo cosi' sprezzantemente annientato, una
BESTIA BRUTA doveva foggiare per ME, per me uomo, fatto a immagine
dell'Altissimo Iddio, un cosi' intollerabile tormento? Ahime'! Non conobbi piu'
ne' di notte ne' di giorno la benedizione del riposo! Di giorno l'animale non mi
lasciava solo neppure per un istante; e di notte mi svegliavo di ora in ora
di soprassalto, da incubi grevi di indicibile paura, per sentirmi l'alito caldo
di QUELLA COSA sulla faccia, e la vasta massa del suo corpo. Incubo incarnato
che non avevo il potere di scuotermi di dosso, eternamente incombente sul mio
CUORE!
Sotto l'incalzare di siffatte torture, quel poco di bene che ancora restava in
me scomparve. Pensieri malvagi divennero i miei soli compagni, ed erano i piu'
tetri, i piu' malvagi dei pensieri. L'ombrosita' abituale del mio carattere si
tramuto' in un odio forsennato di tutte le cose e dell'intera umanita'; mentre
degli scoppi improvvisi, frequenti, incontrollabili di collera ai quali ora io
ciecamente mi abbandonavo, la mia docile moglie, era divenuta, ahime! la vittima
piu' consueta e piu' paziente.
Un giorno ella mi accompagno' per necessita' domestiche nello scantinato del
vecchio edificio dove la nostra poverta' ci costringeva ora ad abitare. Il gatto
naturalmente mi aveva seguito giu' per i ripidi scalini, e, avendo io evitato
per vero miracolo di cadere lungo disteso per causa sua, mi aveva esasperato
sino alla follia. Sollevai una scure e dimenticando nella mia collera il terrore
puerile che sino a quel momento mi aveva trattenuto la mano, diressi contro
l'animale un colpo che certo lo avrebbe ucciso all'istante se fosse calato come
io avrei voluto. Ma questo colpo fu arrestato dalla mano di mia moglie. La sua
intromissione mi colmo' di furore demoniaco e liberando violentemente il mio
braccio dala sua stretta le affondai la scure nel cervello. Ella cadde morta
stecchita, senza emettere un gemito.
Appena compiuto questo odioso crimine, mi posi immediatamente e con frdda
deliberazione all'impresa di occultare il cadavere. Sapevo che non mi era
possibile rimuoverlo dalla casa, ne' di giorno ne' di notte, senza correre il
rischio di essere notato dai vicini. Formai nella mia mente molti progetti. A
tutta prima pensai di tagliare il cadavere in pezzi minuti e di distruggerli nel
fuoco. In un secondo tempo decisi di scavare una fossa nel pavimento della
cantina. Poi architettai di gettarlo nel pozzo del cortile, oppure di porlo
dentro una scatola, come se fosse della merce, e ordinare al portiere di
portarlo via da casa. Infine escogitai quello che mi parve l'espediente
migliore. Decisi di murarlo nella cantina stessa, come si narra solessero murare
le proprie vittime i monaci medievali.
La cantina era adattissima a uno scopo come il mio. Le sue pareti erano state
costruite rozzamente, e di fresco intonacate con cemento grossolano, cui
l'umidita' atmosferica aveva impedito d'indurirsi. Inoltre in una delle pareti
vi era uno sporto, provocato da un falso camino, o caminetto, che era stato
riempito e trasformato in modo da somigliare al resto dello scantinato. Mi
assicurai che mi sarebbe stato facile spostare i mattoni in quel punto,
inserirvi il cadavere, e tornare a murare il tutto come prima, in modo che
nessun occhio umano potesse scorgervi alcunche' di sospetto.
I miei calcoli non dovevano ingannarmi. Con l'aiuto di una sbarra di ferro
scostai facilmente i mattoni, e dopo avere accuratamente deposto il cadavere
contro la parete interna, lo puntellai in quella posizione mentre andavo via via
riaccomodando senza fatica l'intera opera muraria cosi' come era stata
originariamente costruita. Mi ero procurato con tutte le possibili cautele della
calce e della sabbia, avevo preparato l'intonaco in modo che non era
assolutamente possibile distinguerlo dal vecchio, e con esso ricopersi
accuratamente la nuova opera muraria. Quando ebbi finito mi accorsi con
soddisfazione di aver compiuto un buon lavoro. Il muro non sembrava essere stato
manomesso minimamente. Spazzai con attenzione minutissima il pavimento dei
rifiuti e delle scorie di cui lo avevo sporcato. Mi guardai attorno trionfante e
dissi a me stesso: "Meno male! Le mie fatiche non sono state vane".
Subito dopo, il mio primo pensiero fu quello di andare in cerca dell'animale che
era stata la causa di tanta sciagura, poiche' ero ormai fermamente deciso ad
ucciderlo. Se fossi stato in grado di acchiapparlo in quel momento, il suo
destino sarebbe stato indubbiamente segnato, ma, a quel che pareva, l'astuta
bestia si era spaventata del mio precedente accesso di collera, e si guardava
bene dal presentarsi al mio cospetto, date le attuali condizioni del mio umore.
Mi e' impossibile descrivere, o fare immaginare al lettore, il senso profondo,
quasi estatico di sollievo che la constatazione della scomparsa dell'odiata
creatura suscito' nel mio petto. Per tutta quella notte non si fece vedere, e
cosi' per una notte almeno, da quando si era introdotto nella mia casa, riuscii
a dormire di un sonno profondo e pacifico; si', DORMII nonostante il peso del
delitto che mi gravava sull'anima!
Passo' il secondo giorno, passo' il terzo, ma il mio tormentatore non comparve.
Tornai a respirare come un uomo libero. Certo il mostro, spaventato, era fuggito
dalla mia casa per sempre! Non lo avrei piu' veduto! La mia felicita' era al
colmo! Non sentivo quasi la colpa del mio truce misfatto. Mi erano state rivolte
alcune domande, ma avevo saputo rispondere a tutte in modo soddisfacente. Era
stata persino ordinata un'inchiesta, ma naturalmente nessuno aveva scoperto
nulla. Ero certo di avere ormai assicurato un avvenire tranquillo e sereno.
Il quarto giorno successivo all'assassinio entro' pero' inaspettatamente in casa
mia una squadra di poliziontti che procedette a un rigoroso esame dei locali.
Sicuro pero' della inaccessibilita' del mio nascondiglio non provai alcun
imbarazzo. I funzionari di polizia mi pregarono di accompagnarli nela loro
perquisizione. Ogni angolo, ogni ripostiglio fu attentamente esplorato. Infine
scesero in cantina per la terza o quarta volta. Non uno solo dei miei muscoli
tremo'. Il mio cuore batteva calmo come batte a chi dorme nel sonno
dell'innocenza. Percorsi la cantina da un capo all'altro, tenendo le braccia
incrociate sul petto, e aggirandomi di qua e di la' con disinvoltura. I
poliziotti si dichiararono soddisfatti e si disposero ad andarsene. L'esultanza
del mio cuore era troppo intensa perche' potessi trattenerla.
Bruciavo dal dire ancora una parola sola, per rafforzare il mio trionfo, e
rassicurarli doppiamente dela mia innocenza.
- Signori, - dissi infine, mentre gia' stavano salendo i gradini, - sono lieto
di avere calmato i vostri sospetti. Vi auguro buona salute, e vi porgo i miei
omaggi. A proposito, signori, questa... questa e' una casa costruita
meravigliosamente bene. - (Nel desiderio morboso di parlare con disinvoltura,
quasi non mi rendevo conto delle parole che proferivo). - Posso dire anzi che e'
una casa costruita in maniera ECCELLENTE. Queste pareti, ve ne state gia'
andando, signori? queste pareti, guardate come sono solide! - E a questo punto,
in una vera frenesia di sfida, picchiai pesantemente con la mazza che tenevo in
mano proprio su quel tratto di opera muraria dietro al quale stava il cadavere
della moglie che io avevo tanto amata.
Ma possa Iddio proteggermi e liberarmi dagli artigli dell'Arcidemonio! Non
appena gli echi dei miei colpi si furono spenti nel silenzio, ecco che ad essi
una voce rispose dal segreto loculo! Era un pianto, dapprima soffocato e
interrotto, come il singhiozzare di un bambino, che rapidamente si enfio' sino a
divenire un unico lungo, alto, continuo urlo, indicibilmente strano e inumano,
un ululato, uno strido guaiolante, per meta' di orrore e per meta' di trionfo,
quale solo avrebbe potuto levarsi dal fondo dell'inferno, se le gole di tutti i
dannati nella loro angoscia e tutti i demoni nell'esultanza della dannazione
umana si fossero insieme congiunte.
Di quel che fossero i miei pensieri in quel momento e' follia parlare.
Sentendomi venir meno, arretrai barcollando verso la parete opposta. Per un
attimo i poliziotti, giunti gia' in cima alle scale ristettero immobili,
raggelati dall'orrore e da una specie di arcana paura. Un attimo dopo dodici
braccia robuste si davano da fare attorno alla parete. Questa cadde di colpo in
tutta la sua massa. Il cadavere, gia' quasi interamente decomposto e chiazzato
di sangue raggrumato, apparve eretto dinazi agli occhi degli agenti. Sul suo
capo, con la sua rossa bocca spalancata e l'unico occhio di fiamma, sedeva lo
spaventoso animale la cui malizia mi aveva indotto al delitto, e la cui voce
rivelatrice mi aveva consegnato al boia.
Avevo murato il mostro entro la tomba!

 


COMMENTI

Temi principali Suspance Osservazioni conclusive

Che faccia riferimento oppure no ad un vero gatto, un titolo come Il gatto nero rimanda ad un immaginario molto potente, fatto di superstizioni, orrori ed avvenimenti che stanno fuori dall'ordinario. Il gatto nell'antichità era legato alla figura del diavolo; questo perchè, come tutti sanno, il gatto possiede occhi brillanti che luccicano nel buio e incutono timore. Un altro fatto che lo associa al diavolo è il modo in cui si muove senza far rumore e colpisce la preda ; molte donne anziane spesso vedove e sole, tenevano come animale da compagnia proprio il gatto. Siccome spesso venivano accusate di stregoneria il gatto era considerato un animale diabolico.

Per le novelle di Edgard Allan Poe vedi il sito
http://web.tiscali.it/manuel_ger/linked/gat_lin.htm


 

Il racconto de "IL GATTO NERO"

http://web.tiscali.it/manuel_ger/linked/gat_lin.htmIL GATTO NERO


TEMI PRINCIPALI

Nel testo emerge il tema della pazzia: lo stesso narratore fa continuamente riferimento ad essa("Pazzo sarei..." "Non sono pazzo...") ma lui stesso si contraddice di non essere pazzo, ma di avere una mente facilmente eccitabile e di essere in preda
a fantasmi. Tutti questi elementi, mescolati nel testo, nel lettore suscitano esattamente il pensiero contrario.
Il tema della domesticità si contrappone alla pazzia, accentuando ques'ultimo tema. Così se la storia è demenziale è anche domestica: se il narratore è preda di fantasmi, per altri si trattano solo di luoghi comuni; se nel racconto vi sono cose incredibili o incomprensibili per il narratore, per altri saranno fatti comuni. Infine il tema che si trova in tutto il racconto è il tema dell'orrore: il lettore si trova davanti uno strano personaggio che ha subìto una serie di eventi che lo hanno torturato.

LA SUSPANCE

La suspance, elemento antico-moderno, si lega al tema della pazzia e dell'orrore. Ma è soprattutto il modo di E.A. Poe che riesce a suscitare questo sentimento: infatti pone subito il lettore davanti a fatti incomprensibili, che oltretutto sono orribili e spaventosi ma senza anticipare nulla sul racconto, stimolando la voglia di leggere nel lettore. Per capire il racconto, si deve infatti leggere fino in fondo. 

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Le novelle di E.A. Poe rientrano nel genere horror. Il racconto è reso particolare dalla convivenza tra il tema della pazzia e della domesticità. Quello che rende le sue novelle più spaventose è il fatto che le sue storie si mescolano alla quotidianità. Infatti per suscitare il sentimento della paura non è necessario che la storia si svolga in uno scenario spaventoso(cimitero, castello...) ma come in questo caso la paura nasce da eventi e luoghi famigliari.-