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Pascoli

La vita

Giovanni Pascoli nasce nel 1855 a S, Mauro di Romagna. Il 10 agosto 1867, il padre , amministratore della tenuta dei principi Torlonia, viene assassinato. L'anno successivo, muoiono una sorella e la madre. Studia a Urbino, Rimini, Firenze e Cesena. Si iscrive alla facoltà di lettere a Bologna, ma smette i suoi studi universitari e si appassiona alle idee socialiste e anarchiche, conosciute grazie ad Andrea Costa. Tiene comizi, partecipa a manifestazioni e nel settembre del 1879, viene incarcerato. Quando esce dalla prigione, si laurea e insegna a Matera, Massa e a Livorno, dove compone le prime liriche di Myricae (frammenti lirici e bozzetti che soventemente sono memorie). Nel 1892, vince per la prima volta il concorso di poesia latina ad Amsterdam, insegna poi grammatica latina e greca all'università di Bologna. Ottiene anche una cattedra a Messina, dove pubblica Primi poemetti e, pochi anni dopo, Canti di Castelvecchio. In queste due raccolte di poesie è ricorrente la descrizione del mondo della campagna, il lavoro agreste, i fenomeni atmosferici rievocano antiche memorie creano situazioni strane e suggestive. Si trasferisce all'università di Pisa e pubblica Poemi conviviali; nel 1906 gli viene assegnata la cattedra di letteratura all'università di Bologna. In questi anni compone Odi e inni e Le canzoni di re Enzo, I poemi italici e I poemi del risorgimento. A Bologna compone ancora Carmi Latini.
Muore a Bologna nel 1912.

La poetica

Secondo Pascoli, il poeta è, nel profondo del suo animo, un fanciullino, che osserva con spirito ingenuo la realtà che lo circonda; la sensazione che prova il bambino è di gioia e di felicità, che purtroppo, col passare del tempo, viene spenta dalla sofferenza e dal raziocinio e solo un poeta è capace di coglierla e inserirla nelle sue poesie per rivelarla al lettore. A causa di questa visione della vita, al poeta tutto appare misterioso e ogni aspetto visibile della realtà rappresenta solo il simbolo del vero significato delle cose. Nasce cosi il simbolismo di Pascoli, in cui ogni elemento descritto rimanda a qualcos'altro, ad esempio in "Lavandare", l'aratro abbandonato, che è simbolo di tristezza e di malinconia, richiama l'immagine stessa del poeta abbandonato nei suoi affetti.
Un altro tema della poesia pascoliana è la memoria, infatti molti oggetti fanno riaffiorare antichi ricordi; essa, recuperando gli affetti perduti, intenerisce l'animo e crea un senso di pace. 
Un tema ricorrente nelle poesie di Pascoli è il senso dell'abbandono provocato dalla morte precoce dei suoi famigliari, che lo ha segnato per tutta la vita, disorientandolo e bloccandolo nelle relazioni con le altre persone. È quindi inevitabile la presenza nei testi poetici di uno stato d'animo prevalentemente triste e malinconico, che si esprime attraverso un uso simbolico degli elementi del paesaggio e il carattere prevalentemente connotativo del linguaggio. Nella descrizione dell'ambiente esterno, il poeta si sofferma spesso su scene quotidiane, come il mondo della campagna, il lavoro agreste o i fenomeni atmosferici, che rievocano in memorie antiche. 
Ecco alcuni esempi:
In "La mia sera" l'aspro temporale descritto, che sembra semplicemente essere una condizione atmosferica, in realtà vuole rappresentare l'insieme delle terribili disgrazie da Pascoli affrontate, così come il nido di rondini ricorda l'accogliente e confortevole ambiente famigliare, di cui il poeta ha sentito la mancanza per tutta la vita.
In "Lavandare" l'aratro abbandonato nel campo verso sera dà un senso di solitudine e di silenzio, e viene paragonato alla condizione angosciosa del poeta stesso.
Nella poesia "X Agosto" la pioggia di stelle che annualmente caratterizza la notte di S. Lorenzo è vista come il pianto del cielo per la morte del padre, ed in "Novembre" l'immagine delle foglie che in autunno, ormai secche, cadono, ricorda la precarietà della vita umana e la fine dell'esistenza.