L'uomo e le stelle

 

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CANTO XXII

O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno, 114
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'è padre d'ogne mortal vita,
quand'io sentì di prima l'aere tosco; 117
e poi, quando mi grazia largita 
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita. 12

PARAFRASI

O stelle della costellazione dei gemelli, donatrici di gloria (gloriose), ricche di nobile influsso (di gran virtù), alle quali io devo attribuire tutto il mio ingegno, qualunque esso sia; il sole sorgeva e tramontava insieme a voi, quel sole che è sorgente di ogni vita mortale, quando io respirai per la prima volta l'aria toscana, venendo alla luce; e poi, quando mi fu concessa (largita) da Dio la grazia di poter entrare nella sfera delle stelle fisse dove voi vi muovete (l'alta rota che vi gira), mi fu data in sorte (mi fu sortita) la regione da voi occupata (vostra) nell'ottava sfera.

COMMENTO

Qui Dante e Beatrice si trovano nell'ottava sfera, Cielo delle Stelle Fisse: egli si rivolge alle stelle della costellazione dei Gemelli, alle quali deve attribuire tutto il suo ingegno e il suo sapere, (Dante infatti è nato in un giorno non precisato tra il 15 maggio e il 15 giugno, sotto la costellazione dei Gemelli appunto).
Il poeta, precedentemente, aveva affermato che gli influssi degli astri sono un'emanazione della Provvidenza, tramite gli angeli; quello che aveva detto Brunetto Latini a Dante circa il felice influsso dei Gemelli sulla sua vita viene ora confermato come verità assoluta in cielo: la sua nascita sotto quella costellazione a Firenze non era stata che la "figura" di una rinascita alla vita spirituale, non più sulla terra, ma nella regione corrispondente in cielo, vera patria dell'uomo (concezione figurale di Dante).

CANTO XXIII

Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
e mane sera e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco; 90
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che là su vince come qua giù vinse, 93
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella. 96

PARAFRASI

Il nome della mistica rosa (bel fior) di Maria che io sempre invoco nelle preghiere del mattino e della sera attrasse tutta la mia attenzione a contemplare e riconoscere (avvisar) la luce più splendente; e appena si impresse in entrambi i miei occhi (ambo le luci) la qualità e la quantità, cioè l'intensità, di quella vivida e luminosa stella, che in cielo vince in splendore tutti i beati, come qui in terra vinse in virtù ogni creatura, attraverso il cielo scese una luce ardente (facella), che assunse una forma circolare a guisa di corona, e cinse Maria, danzando (girossi) intorno a lei. 

COMMENTO

Qui Dante, sempre accompagnato da Beatrice, arriva al cospetto di Maria. Egli avendo constatato che Cristo si è allontanato nell'Empireo, cerca tra le anime la più luminosa dopo Cristo, appunto Maria. Nei termini che la rappresentano è un susseguirsi di letteratura mistica (bel fiore, maggior fuoco,…) e stilnovistica (viva stella,…).

CANTO XXIV

Così Beatrice; e quelle anime liete
Si fero spere sopra fissi poli,
sfiammando, volte, a guisa di comete. 12

PARAFRASI

Dopo il segno di Beatrice, le anime dei beati (quelle anime liete), rimasti nell'ottava sfera per mostrare la loro gioia di accogliere Dante, si disposero (si fero) a forma di sfere rotanti attorno ad un asse immobile, fiammeggiando, nel loro volteggiare, come comete.

COMMENTO

Sotto invito di Beatrice, le anime dei beati si dispongono a forma di sfere rotanti e fiammeggianti, simili a comete. L'immagine delle comete qui collabora a creare un senso di cosmicità che sembra liberarsi dalle anime stesse. Nel Paradiso, infatti, cosmo e anime non sono più diversi, bensì identici.

 

De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mete mi sigilla
più volte l'evangelica dottrina. 144
Quest'è 'l principio, quest'è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla. 147

PARAFRASI

Di questa misteriosa (profonda) natura (condizione) di Dio, unità e trinità, a cui ho accennato, l'insegnamento (dottrina) del Vangelo mi rende certa la mente più volte.
Questo insegnamento evangelico è la base ('l principio) della mia fede, questo è la scintilla da cui nascono tutti gli altri punti di essa, e tale fede in me come una stella in cielo.

COMMENTO

La dottrina evangelica che narra l'essenza una e trina di Dio è il fondamento di tutta fede di Dante, che arde in lui luminosa come una stella.
In questa parte conclusiva la fede viene trasfigurata in fuoco e luce (favilla, fiamma, stella), ed è proposta quasi come una forza viva, come un'onda che si espande e un punto fisso di orientamento per il poeta, che appare ne quasi rapito. 

CANTO XXV

Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce 72

PARAFRASI

Da molti autori dei libri sacri mi deriva questa verità (luce) sulla Speranza; ma più di tutti gli altri la infuse goccia a goccia (distillò) nel mio cuore David, che fu il maggior cantore dello Spirito Santo nei Salmi.

COMMENTO

In questo caso la parola stelle è un termine biblico, infatti in un passo dell'Antico Testamento si dice che coloro che in vita sono stati dotti e hanno insegnato la giustizia agli uomini, splenderanno nel cielo come stelle per l'eternità. Cfr. Daniele, XII, 3: "Ma quelli che saranno dotti, rifulgeranno come splendore del firmamento; e coloro che hanno insegnato a molti la giustizia, splenderanno come stelle per tutta l'eternità".

 

Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, 
l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì. 102

PARAFRASI

Poi, tra quelle anime danzanti (tra esse) un'anima (un lume) divenne più fulgida (si schiarì), tanto che se la costellazione del Cancro avesse una stella (cristallo) così luminosa, il mese invernale sarebbe tutto un unico giorno sempre illuminato, nella prima parte dal sole, nella seconda da questa stella di luminosità pari al sole.

COMMENTO

In questo caso non viene menzionata direttamente dal poeta la parola stella, che è invece sostituita dal termine cristallo. 
Dante effettua una similitudine astronomica assolutamente ipotetica, al fine di dimostrare che la luminosità della nuova anima che gli si mostra è pari a quella del sole: infatti, il sole si trova nella costellazione del Capricorno dal 21 dicembre al 21 gennaio (il mese invernale a cui si riferisce Dante, appunto). Nello stesso periodo il Cancro occupa nello Zodiaco la posizione diametralmente opposta alla regione occupata dal Capricorno, così che quando una costellazione tramonta, l'altra sorge. Di conseguenza, se nel Cancro ci fosse una stella luminosa come l'anima che Dante vede in questo momento, al calar del sole questo astro sorgerebbe, illuminando in maniera continua la terra. Il che durerebbe per un mese, e per un mese intero, quindi, si avrebbe sempre luce, come un sol dì. 

CANTO XXVI

La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembrot attenta: 126
ché nello effetto mai razionabile, 
per lo piacere uman che rinovella 
seguendo il cielo, sempre fu durabile. 129 

PARAFRASI

Il linguaggio che io usai fu del tutto spento, prima che il popolo babilonese, sotto la guida di Nembrot, attendesse (fosse attenta) all'opera di impossibile compimento (la torre di Babele), che nessun (nullo) prodotto dell'intelletto umano (effetto razionabile) fu mai durevole per sempre, per colpa del gusto umano (piacere uman), che si rinnova continuamente con il passare degli anni.

COMMENTO

Nel ventiseiesimo canto Dante incontra l'anima di Adamo, che gli spiega come il suo peccato originale fu causato dalla superbia dell'uomo, che vuole superare ingiustamente i limiti impostigli da Dio, Bene supremo; il primo uomo dichiara anche che la sua lingua originaria non fu l'ebraico, ma una già estinta prima della confusione creata dalla torre di Babele. 
Sull'espressione "seguendo il cielo" di Dante, gli studiosi hanno dato diverse interpretazioni: il Torraca, come alcuni altri, sostiene che con essa il poeta vuole spiegare come il piacere umano si modifichi continuamente con il trascorrere degli anni, poiché il tempo si misura dal movimento del cielo; la maggior parte dei commentatori è però concorde nel rendere quest'espressione come: "secondo il vario influsso degli astri", nonostante Dante non attribuisca mai all'influsso degli astri il variare del linguaggio, ma soltanto la variabilità della natura. 

CANTO XXVII

Ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso
de l'universo; per che mia ebbrezza
intrava per l'udire e per lo viso. 6

PARAFRASI

Ciò che io vedevo mi pareva come un sorriso dell'universo; per cui il mio entusiasmo nasceva da quel che udivo e da quel che vedevo.

COMMENTO

Qui Dante incontra i Cherubini, anime tripudianti e fiammeggianti come comete, che, oltre alla melodia inebriante del canto di lode a Dio, sembrano emettere quasi un riso che si espande per tutto l'universo, come una manifestazione di gioia sovrumana. L'universo non include però il senso di infinito a cui noi siamo soliti associarlo, ma è, in questo caso, un'immagine assai più corposa: i cieli, infatti, nel loro moto unitario corruscano, come gli occhi quando si ride, dando l'impressione di un universo che balena di riso. 

Di quel color che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane, 
vid' io allora tutto 'l ciel cosperso. 30

PARAFRASI

Io vidi allora il cielo tutto cosparso di quel colore rosso acceso di cui si tinge una nuvola colpita direttamente dal sole al tramonto o all'alba.

COMMENTO

L'indignazione di San Pietro, nei confronti del comportamento immorale dei contemporanei del poeta, diventa, in questo modo, sdegno corale di tutti i beati e di tutto il cielo, che partecipano insieme all'invettiva, voluta da Dio stesso, a monito dell'umanità intera, di cui Dante si farà nuovo redentore (funzione profetica della Commedia).
Dante usa spesso immagini oggettive, che svolgono la funzione di linguaggio figurato: in questo caso, per esempio, la parola cielo è il nucleo di una metafora atmosferica di grande efficacia, che richiama i momenti più suggestivi della giornata, l'alba e il tramonto. 

 

Si come di vapor gelati fiocca
in giuso l'aere nostro, quando 'l corno 
de la capra del ciel col sol si tocca, 69
in su vid' io così l'etera addorno
farsi e fioccar di vapor triunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno. 72

PARAFRASI

Come la nostra atmosfera fa cadere in giù fiocchi di vapori gelati (neve) quando il sole si è congiunto (si tocca) con la costellazione del Capricorno, così io vidi lì il cielo (etera) adornarsi e fioccare verso l'alto di quegli spiriti beati (vapor triunfanti) che si erano fermati con noi nell'ottavo cielo (quivi).

COMMENTO

L'evocazione del ritorno dei beati su all'Empireo costituisce uno dei passi più felici del canto, ammirabile soprattutto per la smaterializzazione di ogni spazio.
"'L corno de la capra del ciel" indica, secondo la trattatistica astronomica medioevale, il Capricorno, che è infatti rappresentato, in sintonia con il suo stesso nome, come il corno della capra.
Il sole è congiunto a questo segno zodiacale proprio dal 21 dicembre al 21 gennaio, nel cuore dell'inverno, periodo, appunto, in cui si hanno le nevicate più frequenti.

 

E la virtù che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse
e nel ciel velocissimo m'impulse. 99
Le parti sue vivissime ed eccelse
Sì uniforme son, ch'i' non so dire
Qual Beatrice per loco mi scelse. 102
Ma ella, che vedea 'l mio disire, 
incominciò, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire: 105
"La natura del mondo, che quieta 
il mezzo e tutto l'altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta; 108
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove. 111

PARAFRASI

E la forza che lo sguardo di lei mi donò, mi fece allontanare dalla costellazione dei Gemelli (bel nido di Leda) e mi proiettò nel cielo più veloce.
Le parti vivissime e altissime del Primo Mobile sono così uniformi, che io non so dire in quale parte di esso Beatrice decise di farmi entrare. Ma ella, che conosceva il mio pensiero, incominciò ridendo tanto lieta che nel suo sorriso pareva rallegrarsi Dio stesso.
"La natura dell'universo che fa stare fermo il centro e muovere intorno ad esso tutto il resto, prende avvio da qui come dalla propria origine; e questo cielo non ha altro luogo che la mente divina, nella quale si accende l'amore che lo fa muovere e la virtù che esso fa piovere sul mondo.

COMMENTO

Qui Dante si riferisce al Primo Mobile, il nono cielo, che è il più veloce di tutti gli altri, poiché compie la sua rivoluzione in meno di ventiquattro ore. Questo cielo trae, secondo il poeta, la sua energia direttamente da Dio, da cui parte l'impulso che fa muovere tutti i cieli intorno alla terra, che sta ferma. Nello stesso tempo, tutti gli elementi del creato tendono al Primo Mobile, che è, quindi, come Dio, origine e fine (meta) di tutto il cosmo.

CANTO XXVIII

E com'io mi rivolsi e furon tocchi 
li miei da ciò che pare in quel volume, 
quantunque nel suo giro ben s'adocchi, 15
un punto vidi che raggiava lume
acuto si, che 'l viso ch'elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume; 18
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si colloca. 21

PARAFRASI

E quando alzai lo sguardo al cielo, i miei occhi furono colpiti da ciò che appare tutte le volte che si guarda con attenzione nella sua luce,
vidi un punto così luminoso che l'occhio, abbagliato, è costretto a chiudersi per la forte luce; qualunque stella, che a noi sembra piccola vista dalla Terra, apparirebbe grande come la luna se fosse messa vicino a quella luce che vidi riflessa negli occhi di Beatrice, come le stelle sono messe nel cielo l'una vicino all'altra. 
Qui Dante volge gli occhi al cielo, ma è costretto a chiudere gli occhi a causa della luce abbagliante sprigionata da un punto luminosissimo. Beatrice gli rivela che da quel punto ha avuto origine il cielo e tutto il creato.

COMMENTO

Come rimane splendido e sereno 
l'emisperio che l'aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond'è più leno, 81
per che si purga e risolve la soffia
che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride
con le bellezze d'ogne sua paroffia; 84
così fec'io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide. 87

PARAFRASI

Come rimane splendido e limpido il cielo dell'aria che sta sopra di noi quando Borea soffia da quella parte dove è più calma , per cui si purifica e sparisce la nuvolosità che prima disturbava il cielo, in questo modo il cielo può riplendere e gioire per la bellezza diffusasi in ogni sua parte; così io rimasi con la mente serena, dopo che fu mandato via il dubbio, dopo che Beatrice mi diede la sua chiara spiegazione, e la verità si rivelò a me come una stella in cielo. 

COMMENTO

Dante in questo canto vede un punto luminoso attorno a cui ruotano nove cerchi con velocità che va via via diminuendo.Questo punto è Dio a cui ruotano i nove cori angelici che influenzano la vita del cosmo. Dante allora, chiede a Beatrice il motivo per cui il cerchio più piccolo è anche il più veloce; Beatrice dà a Dante una spiegazione talmente chiara, che egli paragona la verità rivelatagli ad una stella nel cielo.
Moltissime volte in questo canto la verità e le spiegazioni che Dante riceve da Beatrice vengono paragonate alle stelle.

CANTO XXX

Forse semilia miglia di lontano
Ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
China già l'ombra quasi al letto piano, 3
Quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
perde il parere infino a questo fondo; 6
e come vien la chiarissima ancella 
del sol più oltre, così 'l ciel si chiude
di vista in vista infino alla più bella. 9

PARAFRASI

Forse seimila miglia lontano da questo cielo è mezzogiorno (ferve l'ora sesta), e sulla terra (questo mondo) l'ombra è già proiettata quasi orizzontalmente, quando il cielo, alto e immensamente profondo sopra di noi, inizia a rendersi tale che alcune stelle non sono più visibili da quaggiù (ch'alcuna stella perde il parere infino a questo fondo); e appena è l'aurora e sorge il sole (la chiarissima ancella del sol), così il cielo comincia a spegnersi, stella dopo stella, fino alla più lucente (alla più bella).

COMMENTO

All'inizio di questo canto, Dante, per cercare di rappresentare e descrivere lo straordinario e stupefacente spettacolo dei nove cori di angeli che si innalzano e si allontanano, dirigendosi verso l'Empireo, utilizza una complessa similitudine, dove cielo e stelle, per una volta, compaiono, non più inseriti nell'ingegnosa struttura del paradiso, ma come parte di un paesaggio naturale, terrestre.
Il poeta, infatti, paragona le schiere angeliche, che si stanno dileguando progressivamente davanti a lui, alle luci delle stelle, che sulla terra, all'alba, man mano che sorge il sole, si spengono una dopo l'altra.
Questo senso globale della rappresentazione, però, si apre, nel primo verso, con un preciso riferimento spaziale: "seimilia miglia di lontano". Esso è tratto dalla scienza: infatti, la circonferenza della terra ha una lunghezza di circa 20.400 miglia, e, considerando che il sole la percorre in un giorno, per compiere 6.000 miglia ci impiegherà circa sei ore. Quindi, se in quel punto è mezzogiorno, nella postazione dell'ipotetico osservatore terrestre manca circa un'ora all'alba e, di conseguenza, al verificarsi dello spettacolo dopo descritto.

 

Cotal qual io lascio a maggior bando
Che quel de la mia tuba, che deduce
L'ardua sua matera terminando, 36
Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò: "Noi siamo usciti fore
Del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: 39
Luce intellettual, piena d'amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore. 42 

PARAFRASI

Io lascio la bellezza di Beatrice così com'è a una voce più alta e più poetica (a maggior bando) di quanto la mia possa essere, in modo che porti a termine il difficile compito del suo canto, e con la voce e il comportamento sicuro di una guida, riprese: "Noi siamo appena usciti dal cielo più grande, il Primo mobile, e siamo entrati in un cielo che è pura e sola luce: luce dell'intelletto (intellettual), piena d'amore; amore per il Bene vero, colmo di gioia; gioia che batte ogni felicità terrena (letizia che trascende ogne dolzore).

COMMENTO

In questo caso la parola "ciel" è utilizzata per menzionare il decimo cielo, l'Empireo. Beatrice, descrivendo a Dante il loro cammino e l'ultimo cielo, dove sono appena entrati, mette in evidenza come siano passati da un mondo ancora fisico ("il maggior corpo", cioè il Primo Mobile, il cielo più vasto, ma che ha comunque sempre una sua corporeità), a un universo di assoluta e totale incorporeità ("ciel ch'è pura luce", l'Empireo, costituito solamente da sostanza immateriale).
Beatrice, come perfetta guida del poeta nel suo viaggio attraverso il paradiso, e come allegoria delle teologia, dà della sede dei beati una definizione teologicamente incontestabile: esso è costituito unicamente da luce, di cui si può godere in tre modi: attraverso l'intelletto ("luce intellettual"), attraverso la carità ("piena d'amore"), o attraverso la beatitudine ("pien di letizia").

 

"Sempre l'amor che queta questo cielo
accoglie in sé con sì fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candelo". 54

PARAFRASI

Da sempre l'amore che rende immobile eternamente questo cielo accoglie le anime che vi accedono con un tale benvenuto (si fatta salute), in modo da preparare la nuova candela a ricevere e mantenere la sua fiamma".

COMMENTO

Dante, da pochissimo entrato nell'Empireo, ha la sua prima visione: un fiume di luce lo avvolge con un'intensità tale da disperdere la sue capacità visive e da non permettergli di vedere nient'altro. Le parole di Beatrice sopra riportate risuonano quindi come un dolce tentativo di rassicurazione e spiegazione di ciò che sta avvenendo intorno al poeta: la donna dice a Dante che tutti coloro che fanno ingresso nell'ultimo cielo vengono accolti in quel modo, da quel fascio di luce che rappresenta l'amore di Dio, paragonato alla fiamma che anima ogni candela (ciascun nuovo beato).

 

Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro che prima, se si sveste
la sembianza non sua in che disparve, 93
così mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, sì ch'io vidi
ambo le corti del ciel manifeste. 96

PARAFRASI

Dopo di che, come persone rimaste nascoste da una maschera (sotto larve), e che quindi nel momento in cui si tolgono le false sembianze dietro le quali erano scomparsi i loro volti, che così sembrano nuovamente diversi da prima, allo stesso modo i fiori e le sfavillanti scintille si trasformarono in immagini ancora più gioiose, così che io potei vedere con chiarezza tutte le manifestazioni della corte celeste.

COMMENTO

Il fiume della luce divina è diventato un lago splendente, mostrando così a Dante anche l'altra manifestazione della corte celeste. Nel lago la magnificenza dello spettacolo, che sembrava non poter essere più superata già nella visione del fiume, aumenta ulteriormente, e sembra davvero raggiungere il culmine. Mancano solo tre terzine affinché l'immagine si compia definitivamente, con la comparsa dell'anfiteatro e la straordinaria visione, infine, della rose dei beati.

CANTO XXXI

O trina luce, che 'n unica stella
Scintillando a lor vista, sì li appaga!
Guarda qua giuso a la nostra procella! 30

PARAFRASI

Oh luce della trinità di Dio, che splendendo agli occhi dei beati così, in un'unica essenza, li appaghi e rendi eternamente felici! Oh luce divina, volgi il tuo sguardo quaggiù alla nostra difficile e agitata vita sulla terra! (a la nostra procella!).

COMMENTO

In questo caso la parola stella sta a indicare l'unità dell'essenza e della manifestazione di Dio ai beati, nonostante la sua trina natura. 
Anche soltanto in questi pochi versi, Dante riesce a esprimere in pienezza il suo ammirato stupore davanti alla magnificenza di Dio; nonostante questo, anche nell'alto dell'Empireo, egli si ricorda della società umana, per la cui redenzione sta compiendo il suo viaggio- missione, e per la quale, quindi, chiede il misericordioso aiuto di Dio. C'è, quindi, in questa terzina la forte ed evidente contrapposizione tra le parole "trina luce" e "stella", che rappresentano lo splendore dell'esperienza celeste, e "procella", che significa "tempesta", e sta quindi a indicare la difficile e disordinata vita terrena.

 

E 'l santo sene: "Acciò che tu assommi 
Perfettamente", disse, "il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi, 96
vola con li occhi per questo giardino;
chè vederlui t'acconcerà lo sguardo 
più al montar per lo raggio divino. 99
E la regina del cielo, ond'io ardo 
Tutto d'amor, ne farà ogne grazia,
però ch'i' sono il suo fedel Bernardo". 102

PARAFRASI

E il vecchio santo mi disse: "Affinchè tu possa concludere pienamente il tuo viaggio, per il quale beatrice mi ha chiamato con le sue preghiere e il suo santo amore, fai volre il tuo sguardo su tutto questo giardino; in questo modo, la tua vista si abituerà a tale intensa luce e potrà penetrare meglio e più a fondo nella luce divina. E la regina del cielo [la Madonna], per la quale io ardo tutto di amore, ci darà ogni grazia, poiché io sono Bernardo, suo fedele devoto.

COMMENTO

Il poeta ha incontrato San Bernardo, uno dei maggiori esponenti del filone filosofico mistico del Medioevo, al quale Dante si appoggia per la scrittura della Commedia e che quindi, non a caso, è, per l'ultimo tratto del suo viaggio, la sua giuda. Presentato come "'l santo sene", san Bernardo era stato in vita un fedelissimo devoto della Madonna, "la regina del cielo", alla quale eleverà anche una bellissima preghiera a conclusione del poema. Egli consiglia a Dante di fissare il suo sguardo nel "giardino", che etimologicamente equivale alla parola "Paradiso", in modo da abituare la vista e da poter penetrare meglio nella luce divina: la conquista della visione totale avviene gradualmente, come gradualmente si verifica anche l'estasi mistica, secondo i teorici dell'argomento.

CANTO XXXII

Così ricorsi ancora a la dottrina
di colui ch'abbelliva di Maria
come del sole stella mattutina. 108

PARAFRASI

In questo modo mi rifeci all'insegnmento di colui che trova diletto nella contemplazione di Maria (cioè San Bernardo), come una stella del mattino si abbellisce nella luce del Sole. 

COMMENTO

In questo canto, ma più in generale in tutti i canti del Paradiso si dà molta importanza al colore. Se l'Inferno era il regno delle tenebre e il Purgatorio era caratterizzato soltanto da alcuni cenni di azzurro e grigio, il Paradiso è, invece, il luogo dove la luminosità fa da padrona; le immagini e i colori sorgono spontanei in Dante in quanto Dio si sta rivelando a lui in modo sempre più chiaro, come una stella nel cielo.

CANTO XXXIII

A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle, 
sì come rota ch'igualmente è mossa, 144
l'amor che move il sole e l'altre stelle.

PARAFRASI

A questo punto, alla mia fantasia, che pur si era tanto innalzata, venne meno ogni capacità; ma già l'amore che fa muovere il sole e tutte le altre stelle [Dio]stava facendo girare il mio desiderio e la mia volontà di raggiungere il bene come una ruota che gira in maniera uniforme.

COMMENTO

Dante è finalmente stato reso partecipe della beatitudine della visione di Dio; nella sua contemplazione è riuscito per un istante a intuire e comprendere il mistero della Trinità divina e quello dell'Incarnazione di Gesù. A questo punto però, la sua fantasia, per quanto sia elevata a Dio, non ha più alcun potere, in quanto è comunque legata alla sfera della razionalità. Dante, però, non risulta definitivamente ostacolato dai limiti della natura umana, anzi, se ne è svincolato completamente e, per un istante, intuisce il totale mistero: ha saputo tutto esattamente, proprio come Dio stesso, e per volontà sua.
Subito dopo cade nell'oblio, ma tutto è comunque testimoniato dalla memoria del totale appagamento del desiderio e della volontà, cioè dal ricordo della beatitudine.
E proprio con la parola "stelle" ha termine il grandioso poema dantesco, che si chiude con una immagine che è descrizione di Dio: " l'amor che move il sole e l'altre stelle", dove il poeta fa confluire sia la visione della scuola aristotelica, secondo la quale Dio è motore di tutto l'universo, e fa quindi muovere sole e stelle, e il filone mistico, secondo cui Dio è slancio d'amore. 

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