I Ciciu del Villar e il Pilun Gambalasa

I CICIU DEL VILLAR

Nei secoli si sono sviluppate varie leggende sull’origine di queste formazioni erosive: o frutti di incantesimi oppure frutti di miracoli. Ma la leggenda più diffusa è quella che vuole i “ciciu” formatosi in seguito ad un miracolo di San Costanzo, un legionario romano che, secondo la tradizione, venne martirizzato durante la persecuzione dei cristiani attuata da Diocleziano. Si narra che il Santo, per sfuggire a cento soldati romani che volevano ucciderlo, fosse arrivato fino al Monte Bernardo e ad un tratto si voltò verso i legionari che lo inseguivano e disse loro :”In nome del Dio vero vi maledico! Siate pietre anche voi.” e cosi’ si formarono i Ciciu.

IL PILUN GAMBALASA

C’era una volta un uomo che stava passeggiando per le vie di Peveragno. Un lupo lo sbranò e lasciò una sola gamba sulla strada. Quando gli abitanti videro la gamba vicino al pilone lo chiamarono il pilone della gamba lasciata.

ANNA AUDETTO

Il colle del mulo

Il colle del mulo

Tanto, tanto tempo fa, forse al tempo dei nonni dei nostri nonni, il colle che sta fra il piano della Bandìa e il vallone di Marmora, tra le valli Stura e Maira, non aveva un nome suo, come l’hanno quasi tutte le cose che ci sono al mondo.

Forse questo fatto non aveva molta importanza per i pastori e le pecore che lo attraversavano ai primi giorni di giugno, per fermarsi l’estate sui pascoli d’alta montagna. Nessuno, né pastori né bestie, aveva bisogno di un nome per superare quel colle.

E così rimase senza nome fino per un tempo lunghissimo, e ormai però non si sa quando finì questo periodo.

Un’estate salì ai pascoli di montagna, come faceva ogni anno, una famiglia di pastori: c’era il padre, c’era la madre, e c’era anche una bambina; c’erano le pecore, due cani, e un mulo che tirava il carro con le provviste e tutto quello che serviva per fermarsi lassù fino all’autunno.

Quell’anno, verso la metà di ottobre, il freddo arrivò all’improvviso – come succede spesso in montagna anche quando sembra che l’estate non debba ancora finire. Ed era così pungente che lo sentivano anche gli animali i quali, come tutti sanno, capiscono meglio dell’uomo le parole del vento e i colori delle nuvole.

Fu così che il pastore, alzati gli occhi prima al cielo e alle rocce grigie dei monti e poi agli animali un poco stupiti e silenziosi, decise che era giunto il momento di tornare a valle con tutta la roba e il gregge. Furono fatti i preparativi in tutta fretta e, davanti il mulo col carro, pastori pecore e cani si incamminarono sui ripidi sentieri del colle per ridiscendere al piano.

Non erano passate due ore da quando si erano mossi che il cielo si gonfiò come un cuscino di piume e cominciarono a volare i primi fiocchi di neve. Il padre, la madre e persino la bambina cercarono di affrettare il cammino, spingendo il carro che il mulo tirava a fatica, ma la lunga gobba del colle era ancora lontana.

Decisero allora di attendere il nuovo giorno per proseguire e si accamparono alla meglio sotto il carro, stretti stretti, per ripararsi dal freddo e dalla neve. Durante la notte continuò a nevicare così fitto che al primo mattino il gregge, il mulo e il carro erano sommersi da un metro e più di bianchissima neve.

A quel punto il pastore sciolse il mulo dal carro, sembrandogli di poter in quel modo dare un poco di aiuto anche alla bestia, rimasta per tutta la notte senza riparo. Ma, appena libero, l’animale voltò il muso prima a guardare un punto davanti a sé, poi sul padrone, quasi volesse rassicurarlo. Con grande stupore dell’uomo, si mosse a fatica nella neve, sprofondando ad ogni passo, ma continuò ad andare senza esitazione, sordo ad ogni richiamo verso il punto dove poco prima aveva guardato. Stava andando verso casa.

Quando giunse al primo villaggio oltre il colle, i montanari del luogo nel vederlo capirono che era venuto per chiedere soccorso e, girandogli attorno lo interrogavano guardandolo negli occhi pieni d’acqua.

Il mulo, come aveva fatto col suo padrone alle prime luci dell’alba, così fece con quegli uomini, già pronti a partire verso la montagna. Accennò a muoversi, si fermò, voltandosi come per assicurarsi d’esser seguito, poi continuò ad andare verso il colle da cui era venuto. Così avvenne che la nostra famiglia di pastori, il loro gregge e i due cani furono tratti in salvo.

E così pure da quel giorno ormai molto lontano il colle della nostra storia fu chiamato ‘Il Colle del Mulo’ ed ebbe – e gli rimarrà per sempre – un nome, come è giusto che l’abbiano tutti i luoghi del mondo.

Osea Fracchia