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Una delle paure reali più intense che si possano provare è la paura di essere uccisi o quella che vengano uccise delle persone care; la guerra è una circostanza in cui questa paura è molto diffusa. Noi abbiamo raccolto alcune   testimonianze di chi ha vissuto questa situazione

Essere giovani in guerra

Un'altra paura frequente durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche nei conflitti attuali, è la paura di morire sotto i bombardamenti. Nel nostro sito c'è un ipertesto che se ne occupa in modo specifico, raccogliendo testimonianze di chi ha dovuto cercare scampo nei rifugi antiaerei. I rifugi

Intervista a Teresa Parola

“…ho sempre vissuto in campagna, fin da ragazza. Nel 1943 la mia famiglia aveva scavato un fosso sul retro della cascina e lo aveva ricoperto di fascine. Veniva utilizzato come nascondiglio per gli uomini, i bambini e gli eventuali partigiani quando si spargeva la voce che sarebbero arrivati i tedeschi.


A volte capitava che si restasse in quel fosso anche per settimane e le donne portavano il cibo la notte.
Oltre a temere la cattura e la fucilazione, avevamo anche paura che ci potessero bruciare le case, le stalle, o tutto quel poco che possedevamo.
Spesso arrivavano i tedeschi a chiederci i documenti e noi nascondevamo molti nostri parenti partigiani  e quelli che non potevamo ospitare si rifugiavano in montagna.
Ne facevano parte anche delle donne che erano utili a portare messaggi e cibo. Mi ricordo che una di queste si chiamava Anna e portava sempre messaggi in bicicletta, ma quando la scoprirono venne fucilata. Una sera eravamo tutti nella stalla a scaldarci, io tenevo in braccio mio figlio, che allora aveva due anni, ed ero seduta vicino a mio marito Antonio e a suo fratello partigiano.
Questo aveva una carta d’identità falsa con quasi la stessa data di nascita del fratello e il che era impossibile visto che era molto più vecchio.
Sentimmo delle voci provenienti dal cortile: tedeschi.
Videro delle luci provenienti dalla stalla, entrarono e ci chiesero i documenti.
Il più alto, quello che sembrava il capo, si avvicinò ad Antonio e gli strappò la carta d’identità dalle mani e le lanciò un’ occhiata. L’altra SS controllò i documenti di mio cognato.
Non sembravano essersi accorti dei documenti falsi e li guardavano in silenzio.
Mio marito e suo fratello si scambiavano occhiate nervose. Io ero terrorizzata e per giunta mio figlio aveva iniziato a piangere.
Ad un certo punto il primo tedesco sollevò la testa dal certificato e guardò l’altro. Si scambiarono un cenno. Li guardammo uscire ancora tenendo il fiato. Mi lasciai cadere sulla paglia, ancora con il cuore a mille. Mio cognato guardò i tedeschi allontanarsi dalla porta socchiusa della stalla, poi si voltò verso di noi e tirò un sospiro di sollievo. Quella sera nessuno disse più niente. La guerra ha segnato profondamente la mia vita e quella della mia famiglia. La paura era quasi diventata un’abitudine, era qualcosa di palpabile. Non temevo solo per la mia vita, ma anche per quella dei miei cari; inoltre avevo paura di perdere la casa, magari in un incendio appiccato dai tedeschi se avessero scoperto i partigiani nascosti.
Erano passati due anni e la guerra era appena finita, quando un giorno dalla via che porta nei campi vidi arrivare due tedeschi, uniformi sudice, barba sfatta e mezzi morti di fame. Mi supplicarono a gesti di donare loro del cibo. Provai una strana sensazione, un misto di paura, rancore, stupore e…pietà. Corsi in cucina, presi la pentola più grossa e tutte le uova che avevo. Dopo averle sbattute e fatte cuocere diedi il tegame ai tedeschi, che iniziarono ad ingozzarsi, prendendo le uova con le mani. Li guardai mangiare in silenzio. Era questo che ci aveva portato la guerra. Non c’erano eroi, vinti o vincitori, alla fine. Solo relitti umani.
Spesso l’angoscia ci rivela per quelli che siamo davvero: la speranza mi ha aiutato a sfuggire alla morte, la voglia di sopravvivere mi ha fortificata e in un certo senso la paura mi ha resa più coraggiosa.