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Per illustrare la solitudine nella letteratura abbiamo scelto di analizzare le tematiche di Giacomo Leopardi. Le sue poesie suggeriscono il senso di solitudine in cui trascorse gran parte della sua vita. Giacomo
Leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, il 29 giugno 1798 da
nobili famiglia. Crebbe in un ambinete chiuso di provincia di
cui sentì sempre l’opressioene, aggravata per di più
dall’indefferenza dle padre, conte Monaldo e dalla eccessiva
severità, Adelaide dei marchesi Antici. Nel 1799 nacque il
fratello Carlo. Precocissimo
per interessi e capacità intellettuali, trascorse il periodo
tra i dieci e i diciasette anni imemrso nei libri della
biblioteca paterna acquisendo da autodidatta, una perfetta
consocenza del greco, del latino, dell’ebraico, il francese,
l’inglese e lo spagnolo. Questo studio matto e
disperatissimo gli rovinò per sempre la salute, causandogli
una leggera deformazione al corpo e dei disturbi alla vista e
al sistema nervoso. Scrisse gran parte delle sue opere nella
casa di famiglia a Recanati. Il suo motivo di ispirazione è
stato dunque questo piccolo paesino. Dalla
finestra della sua casa egli osservava uomini e cose e di
tutto sapeva comprenderne il significato più segreto,sapeva
comprendere il sentimento umano che vi era nascosto. E’ da
questa capacità di leggere l'animo umano che nacque l’ispirazione per le
sue poesie. Vissuto
in un ambiente dove nulla poteva soddisfare il suo animo
sensibile e ansioso di vita,egli lascia testimonianze nelle
sue opere ricche di solitudine disperata. Una
versione indubbiamente pessimista,dove non c’è spazio per
la felicità e nemmeno per le illusioni. Tuttavia
l’infelicità non è così assoluta e irrimediabile ma può
trovare conprensione nel canto. Insofferente della
arrteratezza culturale dell’ambiente di Recanati, tormentato
da uan profonda crisi interiore,a seguito di una crisi
religiosa e dopo un tentativo di fuga,a cui il padre si
oppose,ottenne nel 1822 il permesso di recarsi a Roma ospitato
dallo zio Carlo Antici, non fece che acuire il suo pessimismo
nei confronti del destino umano. deluso e amareggiato fece
ritorno a Recanati. Nel 1825 si traferì a Milano,
successivamente a Bologna e a Firenze, ma nel apese natale,
Intanto,le sue condizioni di salute peggioravano;per di più
una grave delusione d’amore
contribuì a
peggiorare il suo stato d’animo. Nel 1826 conosce la
contessa Teresa Carniani Malvezzi,di cui si innamora per breve
tempo. Nel 1931 il pubblico consiglio di Recanati lo nomina
rappresentante nell’assemblea nazionale di Bologna. Nel
1833 si trasferì a Napoli,dove trascorse gli ultimi anni di
vita assistito e confortato dall’amico Antonio Ranieri. In
questa città il si spense il 14 giugno 1837,venne sepolto
nella chiesa del S.Vitale,ora del Buon Pastore. Nel
1939 i resti sono stati traslati accanto alla tomba di
Virgilio. Sempre
caro mi fu quest'ermo colle, Questa
celebre lirica, composta a Recanati nel 1819, fa parte di
una raccolta pubblicata col titolo di “Idilli”, cioè «quadretti» o «bozzetti»,
visioni gentili di vita campestre. Il
poeta è salito su una collinetta di Recanati. Una siepe gli
impedisce la vista di gran parte dell’orizzonte e proprio
questo ostacolo gli permette di spaziare con la fantasia
nell’infinito. Seduto dietro a quella siepe non riesce a
scorgere l’orizzonte lontano, e nella sua profonda
solitudine immagina gli eterni spazi che si estendono al di là,
i silenzi che essendo così grandi e profondi sono aldilà
della comprensione umana.Al di la di questa insignificante
siepe si estende un mondo immenso tanto che il cuore del poeta
si smarrisce al solo pensiero. Non c’è altro rumore oltre
allo stormire delle foglie, il quale lo fa ritornare alla
realtà. E
cosi al di la della siepe immagina spazi senza limite, silenzi
profondi e pace assoluta, tanto da provarne sgomento. Gli
viene in mente l’eternità del tempo, le epoche passate,
l’età presente che pulsa la vita con il fragore dei suoi
avvenimenti. E a questa sensazione di immensità il poeta si
abbandona totalmente e
dolcemente.Il suo pensiero sprofonda, e lui si abbandona
nell’immensità come un naufrago nel mare dell’infinito.
Spiegazione parole del
“Passero solitario” -Finchè non more il giorno:
fino a quando non tramonta il sole. In questa poesia, scritta intorno al 1829,
(pubblicata nella raccolta Canti del 1835) il poeta cerca di
immedesimarsi con la natura (il passero solitario) ma è consapevole
di non poterlo fare, poiché conosce la diversità esistente fra
natura umana e natura animale. Sono gli stessi uomini (soprattutto
la gioventù) che lo rendono consapevole della diversità. Per cui
il suo sconforto è grande: non può avere la felicità
incosciente/istintiva della natura, ma neppure quella
cosciente/riflessiva dell'umanità. Perché? Perché la solitudine
lo ha estraniato dai rapporti sociali, e in questa estraneazione
egli si è convinto che la felicità degli uomini sia del tutto
illusoria, pura finzione. L'unica felicità reale -dice il Leopardi-
è quella assoluta; gli uomini si accontentano di una felicità
relativa/momentanea, ma così non fanno che illudersi, diventando
ancora più infelici. Si capisce inoltre che il poeta si sente solo
e lo si capisce dal fatto che il poeta si immedesima nel passero
solitario. In questa veste immagina di volare per
la campagna e di trovarsi in un momento di assoluta
solitudine. (per maggiori info: www.homolaicus.com/letteratura/leopardi)
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