Mia figlia (Da “Il piccolo Berto” di UMBERTO SABA )

Mia figlia (Da “Il piccolo Berto” di UMBERTO SABA )
Mia figlia mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo;
ed io alla sua carezza m’addormento.

Divento
legno in mare caduto che sull’onda
galleggia. E dove alla vicina sponda
anelo, il flutto mi porta lontano.
Oh, come sento che lottare è vano!
Oh, come in petto per dolcezza il cuore
vien meno!

Al seno
approdo di colei che Berto ancora
mi chiama, al primo, all’amoroso seno,
ai verdi paradisi dell’infanzia.

 

Nella prima delle tre poesie in un momento di abbandono reso possibile dall’abbraccio e dalle carezze protettive della figlia, Saba si addormenta in uno stato d’animo regressivo, quasi come se tornasse bambino. Questo abbandono si esprime attraverso immagini di dolce passività  e di piccolezza (il pezzo di legno sballottato dalle onde), nell’abbraccio vasto del mare. Il sogno, preparato dall’abbraccio protettivo della figlia, riguarda proprio la balia al cui “primo e amoroso seno” egli approda come dopo aver navigato.

La seconda poesia, che io non riporto, si riferisce al bisogno che il poeta avverte di recarsi a trovare la balia dopo che il sogno l’ha ricondotta alla sua memoria.

Nella terza, infine, l’indagine della memoria conduce al momento decisivo della separazione: il “bimbo” è Saba bambino, la “donna che va via” è la balia. Da notare è l’efficacia drammatica con la quale, attraverso pochissime parole, è rappresentata la scena: sulle scale, mentre la balia (fino ad allora, per Saba, una madre a tutti gli effetti) è costretta ad abbandonare il piccolo Umberto. Adesso, dopo quarant’anni, quel bimbo è cresciuto, ormai è quasi un vecchio, ma va a parlare con la sua nutrice in cerca di pace poiché proprio questa separazione ha causato la sua diffidenza nei confronti del mondo. Il raggiungimento di quella pace che Saba va a cercare dalla balia si ha negli ultimi versi, espressa da una serie di gesti: regolare l’orologio, accendere il lume. La poesia si conclude con un altro distacco dalla balia, per tornare dalla moglie; ma, questa volta, una nuova consapevolezza, una maggiore capacità di scelta conferiscono alla separazione un significato assai diverso.

In questi testi Saba riproduce i meccanismi specifici dell’inconscio. In particolare, nel primo testo si passa, secondo i meccanismi della libera associazione e del sogno (e un sogno è appunto raccontato), attraverso varie immagini apparenterete slegate ma coerenti per ragioni profonde.

I gesti che Saba compie e di cui parla la terza poesia hanno tutti un profondo significato simbolico: significativo è l’atto di regolare l’orologio, in quanto questo era compito del “balio”(il marito della donna), che consente al poeta di prenderne idealmente il posto, così da sentirsi l’unico uomo della casa, secondo il desiderio infantile di possesso esclusivo della figura materna; potendosi, inoltre, identificare con una figura paterna positiva, come gli era stato invece precluso dalla mancanza del padre e dalle recriminazioni antimaschili della madre. Lo stesso può dirsi per l’accensione del lume. La frase con la quale si conclude la poesia (e la serie delle Tre poesie alla mia balia) ha poi un valore ancora più rilevante: la separazione violenta dalla balia, imposta dalla madre, è vissuta ora in modo equilibrato e consapevole. L’altra donna è ora, anziché la madre, la moglie, ma questa somiglia piuttosto alla balia che alla madre, dal momento che è la balia stessa a suggerire al poeta di andare da lei

 

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